Lettori fissi

sabato 14 ottobre 2017

Recensione: Era te che cercavo di Pedro Chagas Freitas





Titolo: Era te che cercavo

Autore: Pedro Chagas Freitas

Editore: Garzanti

Pagine: 123

Pubblicazione: 25 Maggio 2017


                                                              Gradimento



Attratta dal titolo e dalla sinossi, accattivante e misteriosa, ho
 iniziato la lettura di questo libro con un misto di curiosità e
 interesse, per un autore che ho scoperto aver venduto oltre
 centomila copie con il suo primo romanzo, e di cui non avevo mai
letto nulla.

E che mi trovassi di fronte ad uno strano libro, scritto in maniera
 alquanto originale, con una trama piuttosto dibattuta, avrei dovuto
 capirlo sin dalla dedica iniziale.

A Barbara, perché tutto.”

Un libro breve, ma intenso. Questa è stata l’impressione che ho
 avuto leggendo le prime righe.

La narrazione inizia in terza persona, al passato. Le descrizioni
 sono minuziose e, grazie ai particolari che non vengono mai
 lasciati al caso, riusciamo letteralmente a “vedere” ciò che i
 personaggi stanno facendo in un determinato momento. E, oltre ai
 gesti, riusciamo a coglierne lo stato d’animo. Da uno sguardo, da
 un gesto, da un particolare movimento degli arti, dalle gocce di
 sudore che scendono lungo la fronte, le scene giungono a noi
 vivide, reali, come se stessimo guardando un film.

I dialoghi, che vengono riportati con la tecnica del “botta e
 risposta”, sono molto ritmati, e riescono ad aggiungere mistero ad
 una storia che di per sé ha già molto di misterioso. E i lunghi
 silenzi, resi nei dialoghi con tre semplici puntini di sospensione,
dicono tutto, molto più delle parole. Perché il silenzio è reale. Il
 silenzio parla (una tecnica, quella dei puntini di sospensione
 all’interno dei dialoghi, già incontrata in Sandro Veronesi).

Improvvisamente lo stile narrativo cambia, dalla terza alla prima
 persona. Scelta curiosa, che mi ha portato a dover ricominciare
 daccapo il libro per ben tre volte, perché due mi sembravano poche
 (sì, lo dico con tono ironico, ovviamente). Ed è in queste pagine
 che l’autore ci permette di seguire il libero fluire dei pensieri del
protagonista, che si accavallano nella sua mente, e che lo portano a
 porsi una domanda dietro l’altra, e gli stessi pensieri tornano a
 sovrapporsi e a intersecarsi con quelle stesse domande. Ad un
 certo punto ho capito che no, non mi sembrava di sentir parlare il
 protagonista. Lui non era di fronte a me. Ero io a essere nella sua
 testa.

Se c’è una cosa che non amo particolarmente nei libri è
 l’inserimento delle tante, troppe frasi tra parentesi tonde.
 Personalmente, preferisco sempre che si ricorra all’utilizzo delle
 virgole, perché trovo che le parentesi rallentino parecchio il ritmo
della narrazione. In questo caso, però, la scelta delle parentesi è
 studiata. Sono messe lì ad hoc, per ricordarci che siamo arrivati al
 punto più alto, al”dunque”, e dobbiamo riflettere su quanto stiamo
 leggendo. Ma non sempre. A volte sono inserite per approfondire
un concetto che di filosofico non ha proprio nulla, ma sul quale l’autore ha scelto, comunque, di soffermarsi.

“(La soddisfazione è uno spazio temporaneo tra due
 insoddisfazioni. La soddisfazione non soddisfa nessuno. La
 soddisfazione è un’illusione passeggera, la panacea degli stati
 d’animo)”

E poi, d’improvviso, di nuovo i dialoghi. Brevi. Semplici. Diretti.
 Ma questa volta niente botta e risposta secco. È una sorta di botta e
 risposta con la descrizione, sempre tra parentesi, dei gesti che
 accompagnano le parole degli interlocutori. Non mi è mai capitato,
 sinora, di lavorare a una sceneggiatura cinematografica, ma credo
che se mi trovassi nella situazione di doverlo fare, lo farei
 certamente così. Penso sarebbe la tecnica migliore.

Ed ecco che di colpo la narrazione passa di nuovo alla terza
 persona, con alcune frasi in lingua inglese, e altre riportate in
 maiuscolo che si ripetono con un ritmo ossessivo. Perché in fondo
 è proprio questa la sua. Un’ossessione.

Poi, quando ci siamo abituati a questa alternanza tra prima e terza
persona, ecco che spunta un altro punto di vista. Questa volta non è
 più lui a parlare, ma lei. Sì, proprio quella lei. La lei oggetto di
 tutta la narrazione. Lei. Un’ossessione. Perché è lei che crede di
 vedere in tutte le donne che incontra. 
 
Carlos António Ribeiro da Guia parla del suo matrimonio, del suo
 lavoro.
Ma davanti a sé, davanti a tutto, c’è sempre lei. Sempre e solo lei.

Lui ci parla della sua storia, che non è altro che la storia di lei
 dentro di lui. Hanno bisogno, un profondo bisogno l’uno dell’altra.
 Sempre di più o, forse, sempre di meno. O nulla. Ma cos’è meno di
 nulla?

Pagina dopo pagina, l’interloquire del protagonista con il lettore
 assume un tono quasi ossessionante. Un ritmo serrato, che ti
 prende e ti travolge, portandoti a divorare una riga dopo l’altra. È
 un filosofeggiare incessante. Un continuo porsi domande a cui è
 impossibile dare una risposta. Perché non esiste una sola risposta.
 E non può esistere un’unica verità. 

I frammenti, le immagini, i concetti si accavallano gli uni sugli
 altri, trascinandoci nel vortice del libero pensiero.

Un libro contradditorio. Un libro sui dubbi esistenziali. Sulla vita.
 Sull’amore. Sulla verità, contrapposta all’immaginazione. Ma che
 cos’è, poi, l’immaginazione?

“L’immaginazione è il luogo meno moralmente responsabile del
 mondo. L’immaginazione ospita tutti i pensieri che nessun altro
 luogo ammetterebbe. L’immaginazione accetta tutto – purché si
 sia immaginativi, nulla è più reale dell’immaginazione.”

I temi affrontati nel libro? La speranza. La paura. Il coraggio. La
 fuga. I problemi. Le soluzioni. La sconfitta.

“La sconfitta è un virus. Uno sconfitto è uno che ha una malattia
 socialmente trasmissibile.”

E l’ansia (la parola “ansia” credo sia stata ripetuta almeno decine di volte).

“L’ansia è la parte sopportabile della paura.”

L’ansia, dicevamo. Carlos trascorre ogni minuto della sua esistenza
 pensando a lei, perché qualunque cosa con lei può essere il
 paradiso. Ogni singolo istante in attesa di quel sì. Una parola
 composta da due sole lettere, ma di una potenza immensa.

“«Sì» è la parola più potente del mondo. «Sì» è la differenza tra
 desistere e insistere. Tutte le felicità cominciano con un «sì».”

Contrapposto, il no. Una parola breve, semplice. Semplice come il
 sì. Ma maledettamente potente.

“Un no può essere la cosa più dolorosa del mondo. Un no può
 essere la certezza più incrollabile del mondo e può,
 contemporaneamente, essere la certezza più incerta del mondo.
 Questo no non è nessuna delle due cose. È soltanto la parola che
 la speranza ha deciso di dire: la speranza parla spesso così.”

E un pensiero su tutti: l’amore. Che cos’è, l’amore? Com’è,
 l’amore? Quell’amore che è così grande da non aver bisogno di
 motivi, da sopravvivere persino alla speranza. Perché l’amore è
 così grande da amare anche ciò che non esiste. L’amore è così
 grande che non ha bisogno di una strada perché è, di per sé, una
 strada. Ed è così grande da riuscire a trovare la luce in mezzo al
 buio. È così grande che anche se cade resta in piedi. Così grande
 da non cadere di fronte a nulla. Così grande che neanche il mondo
 riesce a contenerlo. Che neppure la musica riesce a cantarlo. Che
 anche quando è inquieto è in pace. Che è presente anche quando
non c’è. Così grande da trasformare tutto in poesia.
(So che molti di voi noteranno la parola “grande” ripetuta più volte.
 Non si è trattato di una vista. Leggete il libro e capirete.)
 
 

Ho trovato bellissima e molto vera, ahimè, la riflessione sull’animo
 delle donne, vista attraverso i comportamenti della moglie. Frasi
 semplici, concise.
Pochi gesti che dicono tutto.

Commoventi le profonde riflessioni che ti portano a fermarti e a
 pensare, a fare un raffronto tra ciò che ti sta dicendo l’autore
 attraverso i pensieri più intimi dei personaggi e ciò che stai
 vivendo o hai vissuto.

Chiudendo gli occhi, mi è sembrato di fare un tuffo nel passato. Ho
 rivissuto quelle ore seduta nel banco, con l’amica del cuore di
 fianco e il professore di filosofia che spiegava. E spiegando ti
 trasportava in un’altra dimensione, fatta di pensieri irrazionali, che
 con la loro irrazionalità riuscivano a collegarsi perfettamente alla
 tua quotidianità. Pochi gesti, molte parole. Il potere immenso e
 infinito delle parole. Le parole che ti aprono un mondo. Che ti
spiegano tutto e che, un attimo dopo, quel tutto lo mettono in
 discussione.

Più si va avanti, più rimane difficile seguire il filo del discorso.
Improvvisamente, il libro diventa proprio un copione, con le scene
 narrate come si trattasse di un film.

Ho immaginato molte volte l’autore nell’atto dello scrivere. Il
 linguaggio molto colloquiale ti porta a “mangiare” le pagine, per
 poi farti fermare improvvisamente, costringendoti a retrocedere.
 Perché ci sono frasi che devi leggere e rileggere. E poi rileggere
ancora, per fissarle nella mente e nell’anima. Per capire cos’abbia
 voluto comunicarci con quel determinato pensiero.

Improvvisamente, ti trovi di fronte a veri e propri componimenti in
 versi, inseriti in una narrazione al limite del delirio.

Molto interessanti le riflessioni sulla lingua, sulle espressioni più
 usate e più insignificanti, che lui definisce “plebee” (e che,
 inevitabilmente, ogni qual volta le utilizzerò o le sentirò
 pronunciare, mi riporteranno alla mente quest’autore sicuramente
“sopra le righe”).

Un libro strano, profondo. Originale. Un libro non per tutti, perché
 non è da tutti apprezzare l’arte. Un libro che farà parlare molto. E
 che farà discutere. Un libro che sarà amato o odiato. Un autore che
 ha avuto coraggio, che ha osato. E che, proprio per questa ragione,
 sono convinta che verrà osannato.

La recensione vi è sembrata complicata? Credetemi: nulla in
 confronto al libro.

E ora, permettetemi di concludere con un pensiero dell’autore, uno
 de tanti, ma che tra tutti mi è rimasto dentro, molto attuale. Il
 perché non saprei dirlo. O forse sì.

“Il problema dell’umanità non risiede nell’incapacità di mantenere
 le promesse; il problema dell’umanità risiede nell’incapacità di
 non fare promesse.”

                                        Buona lettura!
 
RECENSIONE SCRITTA DA GLORIA PIGINO

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