Due chiacchiere con l'Autrice
Ritanna Armeni - Una donna può tutto
UNA DONNA PUO’ TUTTO
1941: volano le Streghe della
notte
Intervista
con Ritanna Armeni
Ritanna Armeni non ha bisogno di presentazioni, è un personaggio conosciuto nel mondo culturale e giornalistico italiano, apprezzato perché pacatamente deciso coerente e saggio. Parlare al maschile, però, con lei, può essere pericoloso, quindi torniamo al femminile. Ritanna conosce bene la Russia e proprio lì ha trovato una storia di donne che val la pena di raccontare e lo ha fatto con questo bel libro. Serviva fare due chiacchiere con lei dopo averlo letto:
Di
Armeni sappiamo che è una giornalista, una scrittrice, una femminista, una
donna di successo. Ci vuoi dire invece chi è Ritanna?
Ritanna è anche madre, moglie, figlia,
nonna. Vive ancora quattro ruoli, tutti impegnativi, ma mai esclusivi. Nella
mia vita Armeni, cioè il mio lavoro, ha avuto la meglio su Ritanna, la mia vita
privata. Non me ne dispiace e non ho rimpianti. Ti dirò di più: senza il mio
impegno probabilmente sarei stata una moglie, una madre, una figlia e una nonna
peggiore.
La
seconda Guerra Mondiale è stata raccontata in mille modi e con mille storie
diverse. Questa delle streghe della notte credo sia una novità assoluta almeno
in Italia. Come sei arrivata a scoprire questa storia?
Per caso, come spesso capita
nella vita e nella scrittura. Avevo già scritto una storia russa, quella del
grande amore sconosciuto fra Lenin e Inessa Armand. Stavo intervistando a Mosca
un veterano della seconda guerra mondiale che a un certo punto ha nominato “le
streghe della notte”. Non le conoscevo, mi sono fatta spiegare chi erano e sono
rimasta colpita da queste giovanissime aviatrici che su aerei giocattolo, di
notte al buio a motori spenti bombardavano le postazioni tedesche e che
facevano tanta paura da essere soprannominate “nachthexen”. In una manciata di secondi ho deciso che era
una storia che meritava di essere scritta. Ho poi avuto la fortuna di
incontrare l’ultima strega vivente Irina Rakobolskaja, la vice comandante del
reggimento delle streghe, che mi ha raccontato a lungo delle sue compagne.
Hai
avuto difficoltà nella ricerca storica e nei rapporti con la nomenclatura
sovietica?
Ho avuto, all’inizio, una
difficoltà psicologica. I russi sono molto orgogliosi del loro ruolo in quella
che denominano “la grande guerra patriottica” che è fondativa della moderna
Russia. Hanno l’impressione – a mio parere giusta – che noi occidentali non
abbiamo compreso o non vogliamo riconoscere il ruolo dell’Unione sovietica,
l’importanza decisiva che, ad esempio, ha avuto la battaglia di Stalingrado, il
numero davvero sconvolgente dei loro morti, gli immensi sacrifici dei cittadini
sovietici e dell’Armata Rossa nella lotta contro il nazifascismo. Di
conseguenza nutrono qualche diffidenza nei confronti dello “straniero” che si
vuole occupare di loro. Se ripenso a come studiamo la storia di quegli anni, mi
pare una diffidenza comprensibile. Se poi penso a un film come quello di
Roberto Benigni “La vita è bella” in cui la liberazione di Auschwitz è
attribuita alle truppe americane… ritengo che abbiano tutte le ragioni per
diffidare di noi. Devo dire che la diffidenza nei miei confronti è durata poco.
Come
sei riuscita a muoverti in un Paese non esattamente come il nostro?
I russi sono molto diversi da
noi. Hanno una cultura diversa dalla nostra, tradizioni differenti su cui sono
stati scritti libri bellissimi. Nelle
relazioni private mantengono una certa rudezza esteriore che può impressionare negativamente.
Sono avari di sorrisi, ad esempio. Ne sono rimasta così colpita che ho chiesto
alla traduttrice del mio libro perché non sorridessero mai. Mi ha risposto –
rudemente appunto – che loro elargivano il loro sorriso solo a chi lo meritava.
Era troppo prezioso per sprecarlo con persone che poi magari si rivelavano non
degne. Ho capito rapidamente che dietro quest’atteggiamento così diverso dalla
cortesia formale, dal bon ton che caratterizza gran parte dei rapporti nei paesi
occidentali e che per noi rappresentano comunque valori, c’è una cordialità
schietta che, passati i primi momenti, si manifesta in forme di generosità per
noi inimmaginabili.
Parliamo
delle streghe. Queste donne hanno imparato a essere combattenti in pochissimo
tempo non solo dal punto di vista tecnico ma anche da quello gerarchico e
disciplinare. Come sono riuscite a raggiungere addirittura la totale autonomia
operativa?
Le streghe formavano un
reggimento, il 588, che faceva parte dell’aviazione sovietica. All’inizio non
sono state ben viste dai loro compagni. Le avevano soprannominate “il
reggimento delle stupidine”, parlavano di loro come di “principessine”, le
deridevano. Non si erano mai viste delle pilote bombardiere e quelle ragazze
apparivano, anzi erano, giovanissime e impreparate. Per questo le donne del
reggimento hanno fatto tutto da sole, hanno dimostrato, pur all’interno della
disciplina e delle gerarchia dell’Armata Rossa, che una donna poteva fare come
e meglio di un uomo, che dell’apporto maschile si poteva fare a meno. Quando i
generali hanno visto i risultati di quello sforzo e di quell’atteggiamento
“separatista” non hanno potuto non riconoscere il valore di quelle “ragazze”. Il
reggimento 588 ha al suo interno un numero altissimo di eroine dell’Unione
Sovietica che è il massimo riconoscimento.
Secondo
te l’orgoglio delle protagoniste è stato condiviso anche dalle altre donne
sovietiche? Sono state da queste ultime ammirate per il loro coraggio? E si
sono sentite rappresentate?
Le streghe erano famose in Unione
sovietica e lo sono nella moderna Russia. Sono presenti nei loro libri di
storia e nei loro musei sulla grande guerra patriottica. Le streghe non sono
solo delle combattenti ma rappresentano uno straordinario esempio di
emancipazione.
Quanto
di questa storia è rimasto vivo nel ricordo della popolazione russa?
Molto, ma non sempre nel modo
giusto. I russi che – lo ripeto – ritengono la sconfitta del nazifascismo
momento fondamentale per la costruzione del loro paese manifestano sempre -
pubblicamente e privatamente - il più grande rispetto per i combattenti di
quella guerra. Le streghe sono state combattenti e come tali sono ancora
ricordate e ammirate. Ma non erano combattenti come gli altri. Erano donne che
hanno superato la barriera del pregiudizio, hanno costruito una loro
organizzazione interna autonoma, che hanno voluto portare anche nella guerra il
valore specifico delle donne. Ecco, questo non è del tutto compreso. Irina Rakobolskaja ha voluto raccontare la
loro storia perché non voleva che quell’esperienza così particolare andasse perduta,
che si confondesse con i tanti pur importanti esempi di eroismo. Il 588 non era
formato solo di donne combattenti, ma appunto di streghe.
Il
vero goal del 588° Reggimento è stato sconfiggere il nemico oppure il
pregiudizio, la diffidenza dei compagni uomini e quindi mettere un tassello per
una sospirata emancipazione?
Le streghe hanno combattuto per
entrambi gli obiettivi. Non avrebbero potuto battere la diffidenza del resto
dell’esercito russo se non avessero dimostrato che “una donna può tutto”. Ma
non sarebbero state così capaci nei confronti del nemico se non avesse
costruito un loro modo autonomo di essere combattenti. Hanno raggiunto entrambi
gli obiettivi e anche un terzo. Oggi hanno un posto nella storia.
Irina
Rakobolskaja è l’ultima strega. Colei che ti ha raccontato questa bellissima
storia. Parlaci di lei e facci capire se i suoi ricordi erano veramente
obiettivi o se ritieni le sia capitato di enfatizzare orgogliosamente qualche
episodio.
Quando ho conosciuto Irina, aveva
novantasei anni e sarebbe morta dopo qualche mese. Era stata per oltre
quarant’anni insegnante di fisica all’Università statale di Mosca,
un’accademica insigne. Aveva, quindi, nel racconto chiarezza e autorevolezza. Irina era anche una donna ironica, mai
retorica o enfatica, non parlava in termini di eroismo, preferiva non indugiare
sui tanti momenti tragici della guerra. A lei interessava soprattutto che il
ricordo delle sue compagne non scomparisse o magari annegasse fra i tanti episodi
eroici della grande guerra patriottica. Preparava i nostri incontri come si
prepara una lezione, esponeva i fatti, ricordava, forniva dei materiali. E
qualche volta raccontava episodi divertenti, curiosi che facevano per un attimo
dimenticare la guerra o ne mostravano un volto diverso. Un volto di donna,
appunto.
Un grazie di cuore a Ritanna Armeni per averci concesso questa intervista. A presto
Valter
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