Oggi ho il piacere di presentarvi il libro di poesie
"Trame d’assenza" di Davide Uria .
In
questa silloge di esordio, Trame d’assenza, Davide Uria si rivela come il poeta
dell’abbandono, della nostalgia, della lotta interiore. La sua poesia ci
trasmette la coscienza dell’esistere attraverso uno stile elegiaco, intimo e
conflittuale a un tempo. Nei versi che aprono la raccolta, e precisamente nella
poesia Preludio, il giovane poeta ci spiega la sua poetica e il significato
celato nelle sue parole, dense e simboliche, scavatrici di abissi e fautrici di
incendi alimentati da un vento medianico. Il senso della fine, la percezione
dell’ineluttabile, la disperazione che cerca la salvezza e una via d’uscita da
un’impasse dolorosa sono i temi portanti dell’intero poemetto. La ricerca
amletica di una soluzione risiede nel tentativo di immedesimarsi nella natura
circostante, specchio di stati d’animo emozionali per trovare una cura
“poetica” alle ferite di un passato tormentato e riscoprire quindi la luce che
risiede dentro di sé.
Uria
trae ispirazione da tutto ciò che lo circonda ma in modo particolare dagli
elementi naturali: il mare, la luna, il vento, la neve, la grandine. Tutto
contribuisce ad alimentare la sua arte legata a effigi di profonda bellezza, a
nutrire le sue parole, dense di sensazioni ed emozioni a volte struggenti, a
volte ferrigne. Non manca infatti l’asprezza, la rabbia intrisa di malinconia,
la sensazione di una forza superiore che può arrivare imprevedibilmente sul
nostro cammino a volte a consolare, a volte anche a insinuarsi come un veleno
di insofferenza, nell’impossibilità di un riscatto agognato. Il paesaggio
descritto in alcuni casi è quasi
l’emblema di un paradiso perduto, il microcosmo di una primigenia
felicità/passione che lo ha abbandonato a se stesso. Ecco che le ferite
riemergono come punte di un iceberg in un oceano di silenzio – sul bianco della
pagina nascono frammenti di inchiostro, echi di assenze – e il poeta si
sorprende degli inganni della memoria, nella consapevolezza di un doloroso
passato che dovrebbe volare via, nella stessa misura in cui il vento ci sfiora
per poi passare oltre. Eppure, come tutti i poeti sanno, non ci si può esimere
dall’incontro con la sofferenza, perché questa emozione, al di là della sua
accezione negativa, può rivelarci la sensazione di essere vivi hic et nunc,
unica verità fruibile nella molteplicità dei segni. Distrattamente si perde un
equilibrio, ferocemente si perde un amore e nei labirinti mentali che
imprigionano, ecco che si cercano le porte interiori per giungere a una
salvezza che, nel caso specifico di Uria, avviene attraverso la poesia. La
passione amorosa è simbolicamente angelo e demone, è presenza e assenza nelle
melodiose note cantate dal poeta che, come Catullo, odia e ama a un tempo. Ma
quello che ci stupisce è la forza con cui la parola nata dal silenzio rapisce
l’autore e non viceversa:
“Ho fatto tesoro di parole mai pronunciate / in loro
trovo riparo, conforto”.
Uria risponde al suo istinto di versificatore, le
parole sgorgano come acqua di sorgente, non possono fermarsi, l’obiettivo è la
vita. L’artefice è sempre innamorato della parola, è preda della sua indole
poetica e cade nella purezza del sentire. Tra confessioni e sussurri, sospiri
di morte e grida piene di vita, si fa strada il senso di una lacerazione
costante, come nella poesia Creatura. In questi versi inquietanti, che ci
svelano un sublime intravisto e afferrato negli abissi, sembra di rivivere con
l’immaginazione il noto quadro di Vincent Van Gogh, Campo di grano con volo di
corvi (1890):
"Lacera il mio corpo sulle
ali dorate di un angelo e volo su campi di grano, abbracciato ai raggi del sole
devastante. […]
Goccia
infuocata, belva di sangue, sbrana i miei scialbi sentimenti e riposa sul mio
cuore. Spregevole creatura nera, abile creatrice di incubi avvilenti".
L’azione
terapeutica della poesia consiste proprio nello svelamento del perturbante," l’unheimlich", che come scrive Schelling nella Filosofia della mitologia:
“È
detto unheimlich tutto ciò che potrebbe restare segreto, nascosto, e che è
invece affiorato”.
Di qui il tessuto, la trama poetica che unisce i versi di
Uria in una ricerca odisseica del proprio sé, lungo un gioco di luci e di
ombre, di pieno e di vuoto, di amore e di abbandono – spettro di impressioni
fotografiche dell’io che dissimula un sottotesto romantico e melanconico.
Trame
d'assenza di Davide Uria è la narrazione in versi di un perdersi e di un
ritrovarsi continuamente.
È la storia di ogni lettore che riesce a
immedesimarsi emotivamente nei luoghi interiori del poeta, profeta di se stesso
e di tutto quello che accade nell’animo umano.
Dagli abissi tenebrosi del
dolore alla luce salvifica della vita: è il percorso di un riscatto che fa
delle parole la propria guida, è lo svelamento dell’inconscio nel mistero
sorprendente del pathos.
L’ attesa
svela l'effimera sostanza
dei miei occhi.
un monte si erge
come un' elevata muraglia
la stagione invernale.
Un soffice e candido tappeto
ricopre il sentiero,
atrofizza parole.
Parole che sfuggono
tra le graffianti mani,
parole dimenticate,
oscurate dall'oblio.
accolta nel silenzio,
mi stringa nel suo algido abbraccio.
rimembro alle fragili attese
di ogni tuo sguardo.
lo stupore della mia amarezza
di ogni tua mancata carezza.
sovrana dell'indigenza
rendi il mio spirito
Imperatore del vuoto.
E soffro, verso umido dolore
un fiume che traccia,
con macabre sfumature,
uno sgradevole
ed insanabile tormento.
Tra
i rami e le nuvole
sono tra i rami
e le nuvole,
a disegnare
una nuova e sottile voce
alle osannate utopie
assopite,
annebbiate dal tempo.
domani
con la luce
di un giorno nuovo,
lontano
dai consueti luoghi
del rimpianto,
con gli occhi
di un bambino
per mietere
i frutti
di questi cupidi rami,
che si intrecciano
tra le dissipate nubi.
sono tra le foglie leggere,
a misurare il vento,
a rintracciare
le soglie di questo
cupo inverno.
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