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sabato 30 settembre 2017

Recensione: Cuore di Rondine del Comandante Alfa





Titolo: Cuore di rondine

Autore: Comandante Alfa

Editore: Longanesi

Pagine: 284

Data pubblicazione: 16 Aprile 2015



                                                 GRADIMENTO







Sarà perché sono figlia di un parà della Folgore (in fondo, il dna
 conterà pur qualcosa, no?), ma quando mi è stato chiesto che cosa
 volessi leggere tra quattro romanzi,  non ho avuto dubbi. E non mi
 sono sbagliata.
Da sempre, tutto ciò che ha a che fare con le divise e il mondo militare mi affascina e, non a caso, adoro i film di guerra. Non per lo spargimento di sangue, ovviamente, di cui potrei tranquillamente fare a meno, ma per quella fierezza, quei valori insiti in quegli uomini che mettono a repentaglio la loro vita per salvare quella di altri essere umani.

  So di essere parte integrante di un ingranaggio unico e non
smetterò mai di essere un membro del Gruppo intervento speciale
 dei Carabinieri.”

Se c’è una cosa che ho apprezzato subito di questo libro è l’aver
 scelto di riportare un pensiero del giudice Giovanni Falcone. Credo
 che in esso sia racchiusa l’essenza di tutto ciò che il Comandante
 Alfa ci abbia voluto trasmettere in undici capitoli, densi di
 avvenimenti ed emozioni.

“«L’importante non è stabilire se uno ha paura o meno, è saper
convivere con la propria paura e non farsi condizionare dalla
 stessa.»”

Il libro inizia subito con un ritmo veloce, scandito. La narrazione in
 prima persona, al presente, ci permette di vivere appieno le scene,
 come se fossimo lì con il protagonista. 
La scena iniziale si apre con un incidente stradale. In quegli attimi
terribili, in cui riflette sul fatto che quelli potrebbero essere gli ultimi istanti, il Comandante Alfa vede scorrere davanti a sé, al rallentatore, tutta la sua vita.

E non è, forse proprio la vita, a essere beffarda? Si sta, forse,
 prendendo gioco di lui? Lui che è sopravvissuto a tutto, al fuoco
 dei Kalashnikov, alle rivolte dei detenuti in carcere, all’altezza del
 campanile di Venezia, alle prove di coraggio affrontate da
 bambino, può finire i suoi giorni nelle lamiere contorte di un’auto?
 In un dannatissimo incidente stradale causato da un cane?
 Nossignore. Perché la vita, quella stessa vita che ora gli sta
 sfuggendo di mano, gli impone di resistere. Anche in quei terribili
 istanti, che potrebbero essere gli ultimi, il senso del dovere si
 impone come un ordine.
Deve resistere. E aspettare. E proprio l’attesa ha caratterizzato gran
 parte della sua vita professionale. Ha atteso per ore i criminali
 sull’Aspromonte e nella Barbagia, ha atteso capi di governo, re e
principesse. Anche adesso, inerme e impotente, non può far altro.
 Deve aspettare.

Attende i soccorsi, contando tutti i respiri, uno dopo l’altro, in
 attesa dell’ultimo, mentre il dolore gli impedisce ogni movimento
togliendogli il fiato. E sdraiato sull’asfalto, con gli occhi rivolti al
 cielo, si rivede bambino, quando lo stesso cielo, quello che ha il
 colore azzurro della Sicilia, segna il suo destino, in una primavera
 lontana, di tanti anni prima, quando la luce negli occhi di suo
 nonno gli parla dritta al cuore e fa nascere in lui una profonda
consapevolezza: se c’è una cosa che non gli manca, quella è il
 coraggio, ed è ciò che, prima o poi, avrebbe dimostrato a tutti.
Ed è in quel salto da un ponte di venti metri compiuto da bambino, proprio come prova di coraggio, che ha capito che il suo ruolo nella vita sarebbe stato quello del leader.
Risultati immagini per immagini resistere
 

Aveva solo diciassette anni quando prese la decisione di entrare a
 far parte dell’Arma dei Carabinieri e nel 1969 venne arruolato.

Il racconto dei primi incarichi a Rocca Priora mi hanno strappato
 più di un sorriso, smorzando la tensione emotiva iniziale. Stessa
 cosa è accaduta più avanti, leggendo quanto avvenuto quando un
 gruppo armato ha invaso piazza San Marco e issato sul campanile
 più famoso al mondo la bandiera con il leone alato simbolo della
 Repubblica di Venezia (anche qui i dialoghi riportati nei dialetti
 originali, che hanno conferito una certa tragicomicità alla scena,
 mi hanno fatto sorridere, anzi, ridere di gusto).

I ricordi si accavallano davanti ai suoi occhi come spezzoni di un
 film, e la sua mente corre come un treno sui binari della vita
 viaggiando a ritroso, facendolo scendere in stazioni che credeva di
 aver dimenticato, ma che ora sono lì, pronti ad accoglierlo. Ed è
 così che i ricordi della mamma si intrecciano con quelli, commossi, del Presidente Cossiga.

I ricordi del bambino si mescolano a quelli dell’adulto che
 diventerà, del soldato che combatterà a Nassiriya, in Iraq, e che
 proprio nell’attentato di Nassiriya perderà uno dei suoi amici più
 cari, nonché uno dei soci fondatori del GIS, proprio come lui. Il
 Cigno, così è soprannominato il Comandante alfa, ricorda tutto di
 quegli istanti: la vista che si appannava, le lacrime che scendevano
 e quello strappo di carne viva che bruciava. Una ferita che non si
 sarebbe mai rimarginata.

Torna con la sua mente a ogni gesto del passato, e sente il dolore
 farsi pesante come un macigno. Sente la rabbia che aumenta,
 violenta e cruda, e cerca di incanalarla in un angolo remoto della
 sua mente, lasciandola scorrere perché non esploda.  

 

“Gli anni di servizio nell’Arma mi avevano già insegnato a intuire
 in anticipo quando ciò che un comandante ha da comunicare va
oltre le solite raccomandazioni e gli ordini di routine, e l’atmosfera
 che si respirava nella stanza non dava adito ad alcun dubbio:
 stava per accadere qualcosa d’importante.”

Una mattina come tante, di un giorno qualunque. Un giorno che
 avrebbe cambiato per sempre le loro vite. Un giorno in cui per la
 prima volta ascoltò parole che erano diverse da tutte quelle
 ascoltate sino ad allora.

“Di quel giorno ho immortalato in me il silenzio profondo. Un
silenzio rispettoso, come se tutto il mondo avesse trattenuto il
fiato e stesse ora ad ascoltare.”

La sua vita stava per cambiare. Sapeva che stava per entrare in
 qualcosa di molto più grande di qualsiasi altra situazione avesse
 potuto immaginare, e capì che era esattamente per quelle parole
 che aveva lottato e camminato fino a quel giorno.

Avevamo la profonda certezza di non essere soli. E ancora oggi
 vivo sulla pelle, come allora, come sempre, l’immutabile
sensazione di essere parte di un insieme. Ci sentivamo davvero
 un’unità indissolubile e la consapevolezza di avere accanto il
proprio compagno ci rendeva invincibili, invulnerabili.”

Fierezza, fedeltà, lealtà, caparbietà, determinazione. Queste erano
 le qualità di cui quel giovane corpo d’elite nascente aveva bisogno.
 E lui, quelle qualità, le possedeva tutte.

“Non sarebbe stata una passeggiata. Ci attendevano anni di
durissimo e costante addestramento perché a ciascuno di noi era
 richiesta una sola cosa: diventare il migliore tiratore scelto, il
 miglior scalatore, il miglior incursore, il miglior subacqueo, il
 migliore esperto di armi ed esplosivi.”

GIS: Gruppo Intervento Speciale dei Carabinieri. O più
 semplicemente “teste di cuoio”. I prescelti. Giovani uomini cui il
 coraggio non mancava di certo, o forse sarebbe meglio definirla
 una lucida follia, unita a una buona dose di irruenza e incoscienza.
 Tra loro aleggiava una complicità sottile, quasi una lucida follia che ci autorizzava a puntare, uniti, verso qualsiasi obiettivo.

“Cinque scapestrati e bellicosi paracadutisti stretti da un legame
 forgiato dal destino, consolidato dall’amicizia e reso forte e
inscindibile di fronte a qualunque ostacolo dal profondo senso di
 appartenenza.”

Il Comandante Alfa racconta delle sue missioni, delle liberazioni sull'Aspromonte trasmettendoci le stesse emozioni che ha provato lui, quelle che trattieni fino allo spasimo, e che senti sotto la pelle come un formicolio leggero.

“Ore di tensione, ore di preparazione e attesa che si riducono a
brevissimi attimi di azione. Silenziosi come la notte, veloci come la
 folgore.”

E poi si ricomincia daccapo. Perché la vita per uno del GIS è una
 specie di limbo.

Ci racconta, delle importanti operazioni antidroga cui ha preso
 parte, delle stragi durante gli Anni di Piombo, anni in cui la
 tensione politica era alle stelle e gli avvenimenti nazionali si
 intrecciavano con le inquietudini internazionali, riportando gli
avvenimenti più importanti e cruenti degli anni settanta.

1980 Trani, 1984 Sardegna, 1995 Verona, 2002 Afghanistan: le date e le immagini delle tante missioni svolte come membro del GIS si sovrappongono, una dopo l’altra, ad un ritmo impressionante,  a quelle di vita vissuta in un Iraq che per la prima volta sarebbe andato alle urne. Un Iraq in cui la condizione delle donne e dei bambini è drammatica, e in cui non si può immaginare niente di più disumano per la dignità di una persona. Qui, il Comandante Alfa ha il compito di addestrare la polizia irachena e, anche nello svolgere questo compito così delicato, si dimostra per quello che è: un soldato che, sopra a tutto, preferisce dialogare.

“Ma allora è vero che le parole possono fare più di mille colpi di
 fucile? Allora è vero che il dialogo e la comunicazione possono
abbattere i muri più del fragore di una bomba? Non sta a me dirlo.
 Non sono io a decidere cosa sia giusto o cosa non lo sia, ma
personalmente ho la certezza che le parole, quando escono dal
cuore, portano con sé molto più di una semplice sequenza di vocali
 e consonanti.”

Un uomo che, ancora una volta, ribadisce l’importanza del credere
 profondamente nel significato del proprio incarico, del servizio
 offerto alla propria nazione, senza aspettarsi nessuna ricompensa
 se non la soddisfazione di aver fatto il proprio dovere ogni giorno.

“Ogni giorno di più mi rendo conto che svolgere con passione il
proprio mestiere mette già di per sé in una posizione privilegiata
 rispetto a chi lavora metodicamente e svogliatamente solo per lo
 stipendio di fine mese.”

Parole, le sue, che troppo spesso sembrano solo di circostanza,
 pronunciate nelle occasioni ufficiali per fare bella figura. Eppure
 sono vere, ed è proprio lui a dircelo, dicendoci anche che sono in
 tanti a vivere così.

Il comandante guarda i “suoi” uomini, quegli uomini che gli sono
 stati affidati, e li osserva. Uomini distanti per storia, cultura e
 tradizioni ma che, nonostante tutto, sente vicinissimi, e riuscire a
 parlare lo stesso linguaggio, a condividere il senso dell’onore, lo
 gratifica più di ogni altra cosa. Ha sempre considerato
l’insegnamento una missione (e, come ex-insegnante, non posso
 che condividere in toto il suo pensiero). È contento di addestrarli.
 È fiero di loro. Proprio come un maestro lo sarebbe dei suoi alunni,
 che cresce come figli. Lui e i suoi uomini sono un tutt’uno e, non a
 caso, “squadra” è la parola che ricorre di più nel testo.
Il comandante del GIS descrive nei minimi particolari il duro
 allenamento fisico cui si viene sottoposti, che serve a irrobustire il
 corpo e la mente. E ci spiega anche quale sia la cosa più difficile di
 questo lavoro: la gestione della rabbia.

“…l’addestramento e la carica emotiva sono armi vitali per l’esito
 positivo di una missione. Sono fattori essenziali che permettono di
 agire e muoversi con una tale facilità che poi, a mente fredda, si
 fatica anche solo a raccontare.”

Ma, proprio come tutti, anche i membri del GIS sono uomini.
 Uomini che, nonostante il coraggio, sanno cosa sia la paura.
 Perché, in fondo, la paura fa parte dell’uomo. C’è. È lì, sempre
 presente, da sempre, anche se giorno dopo giorno impari a tenerla
 sotto controllo. Perché, anche in certe situazioni, non ci si abitua
 mai all’idea di morire, e ci sono volte, la maggior parte, in cui la
 morte non è più lontana, ma si nasconde a ogni angolo.

“Con noi viene anche la paura. C’è. Esiste. La si sente nell’aria,
quasi fosse un odore. Un odore impalpabile, una nebbia che
scende fredda e improvvisa nella notte e ti si appiccica addosso
 senza lasciarti scampo. La sensazione più arcaica tra quelle
provate dall’uomo. La paura dell’ignoto, del nemico, del pericolo,
 della morte.”

E i lunghi pensieri, insieme alle riflessioni sulla vita e sulla morte,
 su quanto tutto sia estremamente labile, riempiono le pagine.

“Tutti noi sappiamo che la mèta ultima della vita è la morte ma
 non sappiamo né quando e né dove ci coglierà e in ciò risiede il
 fascino della vita. Quando però ci rendiamo conto che ci ha
appena sfiorato, passandoci a pochi centimetri, leggera come un
velo, quando percepiamo il suo alito sul collo, allora la nostra
prospettiva cambia e la vita stessa riacquista valore laddove lo
 stava perdendo e colore laddove stava sbiadendo.”

Ed è con questi pensieri che ripercorre i giorni vissuti in missione
 di pace, che a chiamarla così viene quasi da ridere, o da piangere,
 se proprio in quelle missioni di pace sei costretto a vedere scene
 che avrai davanti agli occhi per sempre, ogni minuto della tua vita.
 Perché ti trovi in missione di pace, ma sei in mezzo a una guerra
 che, in quanto tale, non ha pietà per nessuno. perché ti trovi in
situazioni in cui solo il forte istinto di sopravvivenza ti porta a fare
 le mosse giuste al momento giusto, e lì capisci che i destini degli
 uomini, spesso, sono legati a decisioni prese in pochi secondi.

Davanti agli occhi, impressi in maniera indelebile, uomini, donne. Vittime dell’odio e della follia. E poi i bambini… I loro volti sono i volti della paura. Gli occhi spalancati dal terrore, mentre si gonfiano di lacrime. Bambini che trattengono il pianto, perché non sono liberi neanche di disperarsi. E in quel momento capisci che
 non c’è un solo istante da perdere, perché ci sono creature
 innocenti che aspettano di essere protette e salvate. Piccoli che si affidano a braccia estranee per sfuggire all’orrore e alla devastazione della guerra. Bimbi che per tutta la vita avranno davanti agli occhi immagini di morte e nelle orecchie il rumore delle bombe.
Bimbi che non parlano più, perché nessuna parola potrebbe descrivere l’orrore di quelle notti in cui sei costretto a crescere troppo in fretta, notti in cui il tuo destino viene segnato per sempre. Non li dimenticherai mai. Perché gli occhi di quei bambini ti arrivano dritti al cuore, come lame affilate, in quelle notti che sembrano essere lì ad aspettarti per risucchiarti dentro le proprie tenebre.”

E proprio in Iraq, in quella terra lontana, ostile e straniera, dove
 ogni minuto è maledettamente uguale al precedente e si fa fatica a
 distinguere un giorno da un altro, la sua mente va ai suoi figli, alla
 sua famiglia, che porta ogni istante nel cuore, e a quel senso di
 nostalgia che porta dentro di sé, insieme al tormento per la
consapevolezza di essersi perso tante, troppe cose. E il distacco
 dalle persone che si amano di più al mondo è una di quelle cose a
 cui un militare non si potrà mai abituare. Perché un membro del
 GIS lo si è sempre, ventiquattro ore su ventiquattro.

Emozionante e struggente è la lettera ricevuta dalla moglie, che leggerà la notte di Capodanno del 2005, a migliaia di chilometri da casa.

“… amarsi è decidere ogni giorno del proprio destino restando al
fianco della persona che abbiamo scelto, perché amarsi è
camminare sullo stesso percorso per quanto impervio e difficile
 sia, perché amare è accettare ogni giorno l’altro esattamente per
 ciò che è. Come potrei amare te se non amassi e comprendessi
anche la passione che ti lega al tuo lavoro e al tuo reparto? E
come potresti amarmi se non accettassi tutte le mie passioni, le mie
 manie, la mia durezza e la mia curiosità?”

Parole semplici, schiette, che colpiscono dritte al cuore.
 
Immagine correlata

Questo libro è una testimonianza importante di una realtà che la
 maggior parte di noi ignora.  Un piccolo capolavoro in cui le
 immagini si susseguono e si rincorrono a un ritmo impressionante,
 vivide e nitide, spinte dall’adrenalina.

Leggere questo libro è stato come avere di fronte a me il
 Comandante Alfa in persona. L’uomo, oltre al professionista.

Il racconto, così come è stato fatto, ha avuto il potere di farmi
 vivere sulla pelle le scene vissute da lui e sentire i brividi
 scorrere  lungo la schiena. Perché quello che senti attraverso le sue
 parole è, prima di tutto, l’emozione di un padre, che ci parla delle
 limitazioni rigorose cui devono sottostare le famiglie dei membri
 del GIS, che diventano ancora più difficili da gestire quando si
 hanno dei figli piccoli.

Le ultime immagini sono quelle del Comandante Alfa con al collo,
 appeso a un piccolo laccio in caucciù, una rondine: creatura libera,
 coraggiosa, pura, ma anche vulnerabile, fragile, delicata. E sono
 sicura che per il lettore sarà curioso scoprire ciò che simboleggia
 quel piccolo ciondolo per il Comandante Alfa. Ma questo lo si
scoprirà solo alla fine del libro, quando il cerchio si chiuderà,
 quando tutto sembrerà rientrare in un disegno più grande e tornerà
 ad avere un significato, un senso compiuto.
Perché il cerchio si chiude quando si restituisce quanto si è ricevuto.”

Sono certa che le ultime pagine vi regaleranno una vibrante
 sensazione di commozione, di attesa, di fiducia. Gli ultimi pensieri
 del protagonista, che osserva per l’ultima volta quel cielo iracheno
 che gli resterà nel cuore, avranno il potere di strapparvi una
 lacrima (o forse più di una, chissà), proprio come è successo a me.

“Ormai ho capito che incontriamo le persone quando siamo pronti a riceverne lo sguardo e a condividerne il pensiero, anche se poi, per alcune di loro, maledirai il giorno in cui ti sei fidato, mentre altre diventeranno parte della tua vita e segneranno per sempre la tua strada. Probabilmente alcune ti insegneranno solo che non sono adatte a te, ma altre ti apriranno il cuore e tu le lascerai entrare sapendo che non andranno mai più via.”

              RECENSIONE SCRITTA DA
 
                      GLORIA PIGINO

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