SCHEDA TECNICA
Titolo: Se mi tornassi questa sera accanto
Autore: Carmen Pellegrino
Recensione di Grazia Procino
Della stessa autrice:
- Cade la terra vincitore Premio Rapallo e il Premio Selezione Campiello.
Autore: Carmen Pellegrino
Editore: Giunti
Pagine: 240
Genere: Narrativa contemporanea
Pubblicazione: 1 Marzo 2017
Formato: Kindle, cartaceo
Valutazione
Solo
la terra non tradisce mai
Carmen
Pellegrino, l’abbandonologa, con il
suo romanzo d’esordio ha vinto il Premio
Rapallo e il Premio Selezione
Campiello. Il suo secondo libro Se mi
tornassi questa sera accanto è una delle letture più coinvolgenti e
commoventi di questo anno, grazie alla scrittura elegante, curatissima e
levigata, pregna di risonanze liriche, intessuta di parole dei poeti amati
dalla Pellegrino, e grazie alla storia: lo scontro generazionale tra un padre e una
figlia, la distanza che esiste tra le persone, anche quelle che si amano e gli
abbandoni che lacerano a tal punto da sconquassare le esistenze. Commuove la
storia e la modalità espressiva con cui viene raccontata dall’autrice, per
questo è uno dei libri che mi ha più convinta quest’anno. Il romanzo parla di "disperanza"
, che è la forza
primitiva che fa inseguire la speranza
nelle cose disperanti, l’energia che trasferisce i sogni interrotti ad altre
persone, rendendoli possibili.
Quella tra genitori e figli è una storia
complicata, un bel casino: sfide, rapporti che impazziscono, una corsa a
ostacoli, nella quale chi vince perde ugualmente.
Il
titolo del romanzo è il primo verso della poesia, bellissima
“A mio padre” di Alfonso
Gatto; il libro è suddiviso in due
parti: Al di qua dalle mura e al di là
dalle mura, le mura sono quelle di una casa prigione che soffoca fin da
piccola Lulù, la protagonista, la quale fugge di casa e dai genitori per
cercarsi e trovare una sua identità, diversa da quella impostale da suo padre.
Giosuè
Pindari è un idealista con un fare pratico, visceralmente legato alla terra,
all’utopia socialista e alla moglie
Nora, una donna ammalata di nervi, tutta persa dentro se stessa, che non sa
essere madre alla piccola Lulù, che si ritrova ciclicamente ad assolvere ai
ruoli di madre, padre, figlia accudente. Giosuè è testimone del fallimento delle sue
idee e plasma la figlia nella prospettiva che lei possa attuare il sogno di
realizzare la "Città dell’Ignoto Ideale", addirittura la convince a frequentare
agraria e ad abbandonare il suo amore Frank, per dedicare tutta se stessa alla
causa. Il sogno rimarrà nella mente di Giosuè perché quel paese delle montagne
appenniniche lucane, attraversato dal fiume, voce intensa e lirica del romanzo,
sarà invaso dalle pale eoliche, dalle antenne e dalle discariche. Il progetto
diviene impossibile ma documenta lo spirito idealistico di Giosuè che trascina
la figlia nella scrittura della Carta Suprema, una sorta di costituzione della
città, che alla
scrittrice è stata ispirata dai resti in pietra di Campomaggiore Vecchio (in
Basilicata) la Città dell’Utopia fondata nel 1741; è
composta di sedici articoli, tutti significativi, imperniati sul principio
della leggerezza del vivere, ne riporto alcuni:
"Nella Città dell’Ignoto Ideale si lavora
per vivere, non si vive per lavorare; siamo in cerca dell’Ideale che verrà.
L’Ideale è Ignoto ma non è morto! Se non lo si vede in giro è soltanto per
timidezza; l’assistenza sanitaria è gratuita e
continua; nella nostra Città si biasima
l’ubriachezza ma si fa divieto esplicito di sobrietà".
Il
romanzo traccia il percorso di crescita di un padre che con le sue imposizioni
ha costretto sua figlia ad andare via e di una figlia che, allontanandosi dalla
casa paterna e ascoltando le voci del fiume, un altrove rispetto a quello del
suo paese, arriva a comprendere le ragioni del padre. Giosuè decide di scrivere
delle lettere a Lulù e le affida al fiume sperando in cuor suo che arrivino a
lei.
La scrittura possiede la virtù di risanare ferite dolorose, rinsaldare
legami incrinati, palesare verità taciute, riconciliarsi con la vita e, prima
di tutto, con se stessi, passare al setaccio gli errori commessi. Anche Lulù
alla fine del romanzo scrive una lettera ai suoi genitori, rivelando quello che
è diventata, grazie alla vicinanza di un uomo complementare al padre e a sé,
Andreone. Sono “sponda provvidenziale” l’uno all’altra, Andreone e Lulù, che si
sostengono e si salvano dall’abbandono delle persone da loro più amate. Il
fascino ammaliante del fiume concede l’occasione di riannodare i fili con il
passato, regala quiete ai tormenti, il dono della riconciliazione sia ad
Andreone sia a Lulù, che partono dal fiume per ricominciare un nuovo percorso
di vita.
"Dicono che nella vita si scelga sempre:
si sceglie dove andare, con chi stare, si sceglie persino cosa perdere e cosa
trattenere.
Io ho sempre perso, anche senza averlo scelto".
Il
passato di Lulù è segnato dall’assenza della madre Nora, impegnata a vagare con
la mente tra le ragnatele del passato e di un amore frantumato, completamente
anaffettiva nei confronti della sua unica figlia, che cresce sentendosi in
colpa e cercando di assecondare i desideri dei genitori. Nel tempo Lulù perde
freschezza e vitalità, schiacciata dal peso della responsabilità nell’accudire
la madre non più stabile mentalmente.
L’ultima
e unica lettera che Lulù affida al fiume perché la consegni a suo padre è il
dono di una sofferta riconciliazione con
i suoi genitori, costata dolore e sudore, e con se stessa. Stare lontana da
Giosuè e Nora permette a Lulù, con la mediazione di Andreone, di ripensare ai
gesti dei suoi genitori e di arrivare a comprendere il legame sotterraneo con
la madre e l’irruenza invadente del padre.
Un
libro delicato e struggente, potente e dalla scrittura seducente rivela una
scrittrice che sa ammantare di poesia ogni parola e cosa che descrive e
racconta.
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