La Treccani la definisce la meravigli come:“Sentimento vivo e improvviso di ammirazione, di sorpresa, che si prova nel vedere, udire, conoscere cosa che sia o appaia nuova, straordinaria, strana o comunque inaspettata” ed è proprio questo stupirsi davanti alle cose che, per Aristotele, inizia l'azione del filosofare. Egli scrive nella Metafisica: “gli uomini hanno cominciato a filosofare, ora come in origine, a causa della meraviglia: mentre da principio restavano meravigliati di fronte alle difficoltà più semplici, in seguito, progredendo a poco a poco, giunsero a porsi problemi sempre maggiori […] Ora, chi prova un senso di dubbio e di meraviglia riconosce di non sapere; ed è per questo che anche colui che ama il mito è, in certo qual modo, filosofo: il mito, infatti, è costituito da un insieme di cose che destano meraviglia. Cosicché, se gli uomini hanno filosofato per liberarsi dall’ignoranza, è evidente che ricercarono il conoscere solo al fine di sapere e non per conseguire qualche utilità pratica1”. Dalla meraviglia quindi scaturisce la voglia di conoscenza, il sapere per sapere, anche se questo non porta a motivi veramente pratici (amici ingegneri mi dispiace per voi, lo so che è un duro colpo per voi).
Ma andiamo per gradi, perché al giorno d'oggi non è semplice parlare di meraviglia, eppure sono sicura che almeno una volta nella vita, anche chi ha le pigne al posto del cervello, si è fermato un attimo a chiedersi “perché esistiamo?”, “perché ho questo corpo e non un altro?”, “perché la Roma ha il record di secondi posti in serie A?”, “cosa c'è dopo la morte?”. Interrogativi che per molti rimangono senza una risposta e per altri, spinti da questa costante meraviglia che circonda la loro vita, cercano di dare. Ecco perché i filosofi sono sempre un po' disagiati, perché vengono colpiti da fenomeni che non toccano la maggior parte delle persone, cercando di scavare nelle incoerenze, complessità e domande che suscitano senza spaventarsi di quello che può uscir fuori. Il filosofo è colui che rimane di fronte a ciò che è perturbante e, vi anticipo già, che per filosofo non intendo chi ha una laurea in filosofia. Chiunque ponga il proprio animo in questa prospettiva, può ritenersi filosofo con buona pace di dottorati e delle università. Come dico sempre, questa è una materia che può essere equiparata a un videogioco. Quando comprate l'ultimo Fifa o PES, potete scegliere sei livelli diversi di difficoltà. Ecco con la filosofia potete fare la stessa cosa: decidere di approcciarla da “novellino” o da “campione” e non esiste meglio o peggio. La cosa che conta è che mentre giocate voi vi divertiate (e non spacchiate nulla lanciando joystick perché avete preso un gol al 92esimo).
Qualche tempo fa, ascoltando un podcast di Tlon (se non li conoscete vi consiglio il loro sito, casa editrice, libreria, profilo Instagram etc etc. insomma stalkerateli perché parlano di filosofia in maniera estremamente piacevole, accessibile e attuale), citavano Pasolini che rispondeva a quale fosse l'espressione romanesca che lo colpiva di più. Lui disse: “Anvedi. Perché è l'unico caso, l'unico momento in cui il romano si scopre. Cioè rivela di possedere la capacità di stupirsi e di non essere sempre apparentemente cinico e distaccato.” Perché i romani (categoria di cui faccio parte, ma questo si era già capito mi sa), come molti al giorno d'oggi evitano l'incontro con ciò che è “Altro” da noi, rifugiandosi nel conosciuto, nel cinismo per allontanarsi da una vicinanza autentica a ciò e a chi ci è intorno.
Per scoprire nuove terre si deve avere il coraggio di abbandonare il conosciuto, tutto ciò che diamo per scontato. Dobbiamo essere in grado di mettere in discussione le conoscenze e tutto ciò che diamo per vero perché “ce lo hanno insegnato così”, “si è sempre fatto o detto così”. Quando davanti a noi abbiamo solo l'ignoto, siamo pronti a vivere esperienze di incredibile meraviglia. Ma non finisce qui, perché ogni volta che pensiamo di essere approdati in qualche porto sicuro del nostro viaggio conoscitivo, dobbiamo anche essere pronti a rimettere tutto in discussione. A mio avviso il compito autentico del filosofo è proprio questo: ricercare continuamente l'idea di mondo e di realtà, evitando di farsi incatenare da dogmi e ideologie. Ecco perché bisogna avere una certa dose di follia per voler “essere filosofi”, bisogna smettere di accettare tutto ciò che ci viene proposto come vero ed essere disposti ad affrontare la possibilità che vi sia una assoluta mancanza di senso all'esistenza. Questo viaggio è come un percorso iniziatico. Ogni viaggio inizia con un trauma, una rottura, un lutto o una malattia (non solo fisica); questi episodi possono distruggerci, se non siamo aperti al messaggio che ci portano, oppure essere il punto di partenza per una avventura che potrebbe cambiare totalmente la nostra vita. Perché “accorgersi di essere qui è un atto di coraggio monumentale, perché significa ammettere di essere sperduti; e per perdersi davvero bisogna saper di essersi persi.2” è da questa consapevolezza che possiamo prendere in mano la nostra vita, poiché sapendo dove siamo, possiamo dare una direzione al nostro andare, senza lasciare che sia il mondo a venirci incontro passivamente.
Rinunciando alla meraviglia, smettiamo di porci delle domande, rinunciamo all'amore del sapere per far posto alla presunzione di sapere già. In questo modo non esiste più un valore aggiunto, esiste solo la noia, la mercificazione, la corsa a volerne sempre di più, in una bulimia di oggetti e avvenimenti che ci lascia però sempre sulla superficie delle cose e mai veramente all'interno di esse. Questa presunzione ci fa passare da uno stato ricettivo, fluido (oserei dire Yin per chi mastica di taoismo) a uno stato di chi vuole plasmare il mondo secondo il proprio limitato punto di vista. Perché limitato? Perché dobbiamo smettere di pensare di essere Dio. Quel Dio che per Nietzsche abbiamo spodestato per renderci noi il centro dell'universo e “padroni del nostro destino”, scordando continuamente che ciò che conosciamo è sempre una visione parziale e soggettiva della realtà. Per nostra stessa natura non è possibile uscire da noi stessi e vedere le cose come stanno, il progetto iniziale di un fantomatico Architetto primordiale che ha disegnato il mondo e il cosmo.
Il coraggio della meraviglia ha spinto in passato tantissimi pensatori, scienziati, politici, attivisti a rivoluzionare il modo di vedere le cose. I paradigmi della realtà, non rispecchiano la Verità con la “v” maiuscola, ma sono solo il risultato di qualcosa che è considerato fico e in voga in quel momento, finché non arriva qualcuno a dimostrare che c'è un modo più interessante, più performante, o in generale “migliore” di come lo si sta facendo. Ad esempio, prima che arrivassero Frued e Jung, era normale non parlare con i pazienti, farli vivere rinchiusi e sottoposti a qualsiasi tipo di esperimento, paragonabile alla tortura. Poi sono arrivati questi due signori che hanno pensato che forse sarebbe stato meglio chiedere ai questi “pazzi” come stavano, che vedevano o cosa pensassero. Ma fino a loro era tutto normale. Così come l'idea che le donne non potessero essere medici, avvocatesse, politici o anche semplicemente votare. A un certo momento della storia è arrivato qualcuno, che al pensiero che una donna potesse fare tutte queste cose e anche di più ha provato meraviglia e ha iniziato a creare una nuova realtà e un nuovo paradigma.
Questa mancanza di stupore che contraddistingue il nostro periodo storico è dovuta all'idea che non ci siano più cose che non si sanno. Il potere del “dio Google”, ha sostituito l'abitudine a porsi domande, impigrendo il nostro cervello e quel nostro senso di scoperta. Perché il conoscere richiede una connessione al Tutto che non passa tramite il wi-fi, ma attraverso un lavoro di ricerca che inizia principalmente dentro di noi, per poi proseguire col mondo intero. In una società che vede sempre più di cattivo occhio una conoscenza “enciclopedica” in favore di una sempre più iper- specializzata, perdiamo il disegno generale. Nel momento in cui smettiamo di cercare, di ascoltare l'Altro non saremo più in grado di uscire neppure da noi stessi. Ma per farlo ci vuole il coraggio di mettersi in movimento e seguire il nostro cuore, verso chi vibra alla stessa nostra frequenza; e in questo andare ci si può rendere conto di essere meno soli e si perde forse anche un po' di quel brutto da cui il mondo tende a circondarci. Ma se si inizia ad abituarsi al Bello (con la “b” maiuscola), saremo anche noi in grado di trovarlo là dove prima non eravamo in grado di scorgerlo. Inizieremo a non limitare noi stessi per paura di non riuscire o perché in passato abbiamo fallito. Inizieremo ad osare e a cercare sempre più di espandere, non solo la nostra conoscenza, ma anche la nostra vita, sentendola attiva e smettendo di sentirci come foglie portate dalla corrente di un fiume.
1Metafisica – Aristotele- Ed. Bombiani, 2000
2Lezione di Meraviglia- Andrea Colamedici, Maura Gancitano – Ed. Tlon 2019
Davvero molto interessante! Quanto sono vere queste parole.
RispondiEliminaTi ringrazio :) sarebbe bello che le persone tornassero a provare meraviglia nella vita di tutti i giorni.
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