SCHEDA TECNICA
Titolo: Shades, tutti i colori dell'anima
Autore: Debora Wright
Pagine: 182
Formato: Kindle
Genere: Romance
Pubblicazione : 12 Luglio 2018
“I colori sono il mio mondo. Non c’è muro che resista. Fino a quando avrò una bomboletta in mano e uno spazio bianco dove imprimere i miei pensieri e le mie emozioni, mi sentirò la persona più libera di questo mondo.”
Blaise
e Annalie. Due ragazzi che non si conoscono, accomunati da un grande dolore.
Diverso, certo, ma della stessa intensità. Perché ci sono dolori che lasciano
profonde cicatrici sul corpo e, soprattutto, nell’anima.
La
vita, per i due giovani, è caratterizzata da tinte diverse: nero per lei, e
tutte le sfumature di colore per lui perché, da quello che lui stesso ci dice.
Il libro
si apre con un prologo, che ci mette subito di fronte alla sofferenza con cui
Gabrielle, madre di Annalie, vive con la sua malattia che sembra divorarla
giorno dopo giorno. E ce la racconta tramite le pagine del suo diario — pagine che ripercorrono il periodo
che va dall’agosto del 2012 al settembre del 2016 — che ritroveremo disseminate qua e là in tutto
il romanzo. Sono pagine intense in cui, attraverso una narrazione molto
ritmata, anche visivamente, l’autrice ci introduce nell’inferno dell’anoressia.
Frasi brevi. Veri e propri squarci nell’anima, che ci raccontano tutta la
drammaticità vissuta da chi ne soffre e da chi assiste, impotente, allo
spegnersi della vita che si consuma lentamente, come la fiammella di una
candela.
Anoressia:
una parola che fa venire i brividi. Una compagna, fedele amica, in apparenza,
perché non puoi fare a meno di lei. In realtà, un mostro che ti cattura e ti
rinchiude nella sua gabbia, risucchiandoti in un vortice che ti trascina verso
meandri oscuri. Una gabbia in cui hai le mani e i piedi legati, la testa
annebbiata, totalmente incapace di prendere decisioni. E se le prendi, non sono
mai quelle giuste. E in quel vortice non trascini solo te stessa, ma chi ti sta
accanto e ti ama di più, e si sente impotente, perché non c’è nulla che possa
fare per tirarti fuori di lì. Solo lasciarsi andare insieme a te, stremato. Ed
è lì che si spalancano le porte dell’inferno.
“[…] la voglia di vivere se ne va giorno dopo giorno.
Lei ti uccide, ti spinge fino in fondo illudendoti di esserti accanto, ma una
volta nella fossa che tu stesso ti sei scavato, lei risale senza alcuna fatica
e ti abbandona. E muori. Muori dentro… Muori psicologicamente… Muori
fisicamente.”
Le vicende hanno inizio nel settembre 2016, a Marsiglia. Si sta facendo
buio e dal cielo scende una pioggerellina leggera. Piccole gocce, come
minuscole pennellate su un paesaggio privo di colore. Ed è sullo sfondo di una
città ormai avvolta dalle tenebre che l’autrice introduce la figura del
protagonista maschile, Blaise: jeans strappati, felpa con cappuccio tirato
sulla testa, scarpe sportive usurate, un “ribelle
schivo, imbruttito dalla vita, un tipo dal quale stare lontani”, come lui
stesso si definisce. Un artista che finisce per guardarsi attraverso la sua
stessa arte. Perché quando finisce la sua opera rimane lì, in piedi, a
fissarla, ed è in quell’opera che vede tutto se stesso. Un’opera che, come
tutte le altre, scomparirà al sorgere del sole. Stesso mese. Stesso anno. Le vicende si spostano a Bassano del Grappa, dove
la giovane Annalie vive in compagnia della madre, una madre a cui è costretta,
suo malgrado, a fare da genitore.
“Guardo le nuvole grigie tingersi di
viola in questo giorno di inizio autunno, e osservo una faccia triste che sbuca
dalla forma incostante di una di esse. I rami semi spogli si allungano verso i
primi raggi del sole, come se volessero risucchiare fino all’ultimo il calore
proveniente dal suo nucleo ardente. Foglie secche volano in una danza
incontrollata, lungo il viottolo del mio giardino, appoggiandosi poi sul suolo
per qualche secondo prima di librarsi nuovamente nell’aria, soffiate da un
venticello che si è appena alzato e che sembra prendere forza ogni secondo di
più.”
È così che Annalie ci
fa entrare nella sua quotidianità, una quotidianità in cui rimpiange
l’infanzia, in cui tutto era diverso, in cui riusciva ancora ad apprezzare i
colori, i profumi e il tepore che la vita sapeva regalarle. Ma poi è finito
tutto. Annalie. Una ragazza di vent’anni cresciuta troppo in fretta, “sacrificata a vivere una vita che non è la
sua, ma che le è stata propinata senza alcun libero arbitrio.”
Ma a questo punto, come
faranno a intrecciarsi le vite e i destini di due ragazzi che, in apparenza,
non hanno nulla in comune? Cosa sarà a farli incontrare? O, per meglio dire, scontrare?
Perché sarà proprio uno scontro a far inciampare l’una nella vita dell’altro.
Come? Lo scoprirete da soli… E sarà proprio Bassano del Grappa, con l’aria
salmastra del Brenta che avvolge i sensi, e il vento forte proveniente dalla
Valsugana che soffia ostentando la sua forza, a fare da sfondo alla storia. E
subito, quella domanda: “Credi nel
destino?”. Tre semplici parole, che racchiudono tutto. Che poi…
“Si
può davvero considerare il nostro incontro una cosa voluta dal destino, o siamo
solo due perfetti sconosciuti che si sono casualmente incontrati in un vicolo
di una piccola città alle prime luci del giorno?”
“Shades” è un romanzo
in cui il nero di cui è dipinta la vita verrà gradatamente sostituito dalle
sfumature dell’amore. Una storia in cui gli incubi si sovrappongono alla
realtà, soffocandola. E se per Annalie è la quotidianità l’incubo più grande,
per Blake è invece ogni notte a trasformarsi in un viaggio nell’orrore, in cui
rivive ogni singolo istante di quella
notte maledetta, in cui è cambiato tutto. Un viaggio che riviviamo insieme al
protagonista, in una sorta di flash-back onirico che spezza la narrazione,
anche da un punto di vista stilistico. Ma sarà solo a pochi capitoli dalla fine
che Blaise, con un lungo flash-back, ci racconterà l’orrore vissuto, coi suoi
occhi di bambino.
La Wright è stata molto
brava, come in un tutto il romanzo del resto, nei dialoghi — che si rivelano da
subito molto realistici —, e nella scelta del linguaggio adatto ad ogni
personaggio. Perché ricordiamo che negli incubi è un Blake bambino a parlare, e
non il Blake ragazzo che abbiamo conosciuto nelle prime pagine e in quelle a
seguire. E credo che il lettore avrà modo di notare una differenza sostanziale anche
nelle pagine di diario riportate, in cui è Gabrielle a parlare, a farci capire
quello che prova, quello che sente. Quello che si domanda. Sì, perché lei si
chiede: “Quanto pesa la felicità?”. E
cosi come
tante altre voci nella sua testa, questa urla, si dimena e cerca la sua
attenzione. E balla quando Gabrielle le dà ascolto.
Per cui ribadisco:
azzeccatissima la scelta del linguaggio utilizzato — fresco e giovane, pulito e
cristallino —, così come quella della grafia con cui riportate alcune delle
vicende più drammatiche (l’autrice ha utilizzato un carattere che non si trova
spesso nei libri, il “Segoe Print”, che contribuisce sicuramente ad alleggerire
i toni più cupi, e questa è una delle cose che, in veste di Editor, noto e che
fanno la differenza in un testo, sempre per quella famosa storia secondo la
quale “anche l’occhio vuole la sua parte”).
Una cosa che mi ha
colpito molto del romanzo è l’intenso e profondo rapporto madre - figlia, che
emerge in ogni pagina. Sono pagine profonde, piene d’amore e di dolore. Ammetto
di essermi commossa più volte e di aver avvertito un groppo alla gola.
“La
bacio sulla fronte e quando esco mi appoggio con la schiena alla porta, sapendo
che qualunque cosa io le dica non servirà a nulla perché lei, nel suo profondo,
si è già arresa. La vedrò morire giorno dopo giorno e non so se sto facendo
abbastanza per impedirlo. Chiudo gli occhi, rimango così fin quando non mi
rendo conto che la mia è una corsa contro il tempo.”
Ci ritroviamo poi a
leggere insieme ad Annalie le ultime parole che la madre ha riservato a lei, e
le nostre lacrime si mescolano alle sue, e a malapena riusciamo a distinguere
la parola “maman”.
“Il
giorno che meno attendi nella tua vita arriva sempre con una sorta di anticipo
e neanche un minimo di preavviso.”
Ma torniamo ai nostri
protagonisti. Blaise, un ragazzo e un’artista che usa i colori per dipingere le
anime, una in particolare, con la sua mano segnata dal fuoco. Perché…
“Ogni
persona ha un suo colore, una sua tonalità la cui luce trapela lungo i contorni
del corpo, una specie di alone che la avvolge.”
E lui quell’anima ha
deciso di dipingerla, perché sa che sarà la sua tela più bella. Perché saranno
due occhi verdi incorniciati da folti capelli rossi a rapire la sua, di anima.
“Ed
è come se il tempo avesse scelto questo momento per fermarsi. Le lancette
dell’orologio appeso alla parete alle spalle di Annalie sembrano immobili.
Nessun ticchettio. Nessun scricchiolio del legno. Sono i dieci secondi più
lunghi della mia vita, in attesa che lei dica qualcosa. Sono così lunghi che mi
stanno facendo desiderare di rimangiarmi tutto quello che ho appena detto.”
È come se il suo
personaggio fosse lì per curare tutte le ferite, per portare una nota di colore
nel grigiore della vita di Annalie e della madre. Potremmo considerare Blaise
un personaggio chiave, che riesce a rimettere al proprio posto le tessere del
puzzle, e saranno proprio le sue parole a dipingere la vita di Annalie di nuovi
colori. È un personaggio forte, nella sua debolezza. Positivo, nonostante la
vita gli abbia inferto colpi durissimi. E i suoi tatuaggi sono lì a ricordarlo.
A ricordare tutto. Ogni cicatrice dell’anima. Ogni dolore. Ogni cambiamento.
Ogni emozione, provata e vissuta.
“Sì, tutto in te è rosa”, comincio a dire. “Le labbra screpolate, il candido
colore della tua pelle. È rosa come il soffice bocciolo di un fiore, come le
piume svolazzanti di un fenicottero. Rosa come l’alba che sorge dopo una notte
oscura, come i peschi fioriti in primavera. Sono rosa le tue guance sulle quali
il colore sembra riaffluire dopo una lunga agonia. Persino la tua adorabile
dolcezza è rosa in questo momento.”
Perché lui la sua
Annalie la vede bianco, oro, rosa, turchese, pesca. Perché un’anima nera è una
lavagna su cui poter scrivere, su cui poter dipingere.
“Davanti
ai miei occhi un vortice rosso, giallo, verde e blu si tramuta in nero, poi in
grigio, poi in bianco e di nuovo nero, finché le immagini non si fermano qui,
dove mi trovo. In questa stanza fredda che sa di morte.”
Il puro candore di
Annalie…
“Tutto in lei era bianco. Le ciocche di capelli che ricadevano sul suo
viso sottile, l’iride di quegli occhi sempre in cerca di speranza. Era bianca
come i fiocchi che scendono dall’alto per annunciare la venuta dell’inverno.
Bianca come il latte che macchia le labbra in un contrasto di scarlatto e
candido. Bianca come un bucaneve che sboccia sotto al gelo. Il bianco la stava
possedendo, nonostante tutto le fosse precipitato addosso. Era bianca tra le
lenzuola che avvolgevano il suo corpo esausto dal pianto, bianca nella polvere
che era il suo oblio e la sua salvezza, bianca sulla pelle liscia come seta.
Nella sua immacolata purezza, lei, in quel momento, era bianca.”
… alternato all’eros
più sfrenato.
“Libero
dal giogo che mi ero imposto, mi alzo sulle ginocchia, sistemo le gambe di lei
sulle spalle e la penetro, entrando nel suo corpo con una forza così
inaspettata, che Annalie si ritrova a gridare nella mia bocca. Non mi fermo a
chiedere se fa male. Non rallento. Spingo più forte, più a fondo, fino a non
potermi avvicinare di più. Sono rude, carnale, violento, infuocato, ma quello
che sento in questo momento va oltre a tutto quello che ho provato fino a ora:
è come se qualcuno stesse soffiando su delle braci e il fuoco divampa
all’istante.”
Quelle parole che sembrano
poesia…
“Sul
tuo volto i colori fanno giardino…
Sei
gialla come il sole, che scalda l’aria e nutre le foglie. Gialla come il miele,
che si appiccica alle labbra e le addolcisce.
Sei
verde come il soffice muschio, che ricopre i massi umidi in mezzo ad un
torrente. Verde come le mele succose colte dagli alberi in campagna.
Il
blu ti ha avvolto quando la tua vita è tornata a una regolare pace. Blu come il
fiore di mezzanotte, che sboccia al rintocco dell’orologio. Blu come i
mirtilli, che tingono le tue dita non appena li tocchi.
Rossa
fra i capelli, rosa sulla bocca, pesche sulle tue guance.
Ovunque
sei colore.”
E quelle di lei che riscaldano il cuore e l’anima…
“Blaise però, per fortuna, mi ha raccolta agli
angoli del mondo, come un quadro abbandonato e pieno di polvere. Ha soffiato
vita su di me, illuminandomi e, subito dopo, ha premuto le sue mani, il suo
corpo su ogni mio punto debole, su ogni mio colore dimenticato o sconosciuto.
Mi ha fatto vibrare con le sfumature che ha creato per me dentro la mia carne,
tinte incapaci di essere viste da altri, ma solo dai nostri cuori.”
Si vede che l’autrice
ama l’arte e conosce bene ciò di cui parla (più volte cita opere e artisti,
come Francois Nielly, Manet, Degas), al punto tale da ricondurre tutto ad essa.
“Siamo
colore della stessa tavolozza che si mescola, si agita, trasportato da infinite
pennellate che porta, inevitabilmente, ad esplodere in tonalità che possono
essere solo nostre.”
Bellissime, infine, le
descrizioni delle ambientazioni, che hanno il potere di trasportare il lettore
in un altro tempo, in un altro luogo, in un’altra dimensione. Improvvisamente,
non stiamo più leggendo il libro, ma siamo dentro a quelle pagine.
“Tutto
nel locale rispecchia un’atmosfera calda, pastosa, riconducibile
all’ingrediente principale: la cioccolata. I pavimenti e le sedie hanno la
tonalità del cioccolato extra-fondente, mentre i tavoli e il bancone sembrano
essere di gianduia, rifiniti nei bordi da una linea sottilissima di cioccolato
bianco. Verrebbe voglia di dargli un morso. Anche il profumo del locale porta
con sé il sentore di questa bevanda degli dei, è così forte che la mia pelle
sembra impregnarsi del suo aroma. Sparsi qua e là, in un variopinto e illusorio
scompiglio, vasetti di vetro, recuperati dalle conserve casalinghe, sono
riempiti di piante aromatiche come il peperoncino, la lavanda, la menta
selvatica, la salvia e il rosmarino. Quello che però attira di più la mia
attenzione sono i dipinti sui muri. Piccoli graffiti riempiono le pareti: una
bambina che ride scuotendo i suoi ricci castani con la bocca pasticciata e la
punta del naso sporca di cioccolato; un mastro pasticcere che osserva
concentrato un filo di cioccolata scendere dalla frusta e scivolare nel tavolo
da lavoro creando mille e deliziose pieghe; una ragazza, la mano sulla tazza,
gli occhi socchiusi e l’espressione beata e infine, una crepa sulla parete da
cui esce un mare di cioccolata bollente come fosse lava.”
Un
romanzo che mi ha emozionato e travolto, regalandomi emozioni che conserverò
per sempre nel cuore. Una storia che prende forma e colore pagina dopo pagina,
pennellata dopo pennellata. Una tela sulla quale l’autrice, con il suo talento
e la sua straordinaria sensibilità, riuscirà a farci vedere tutti i colori
dell’anima.
Consigliatissimo!
Recensione di Gloria Pigino