Leopardi e Aspasia
L'ispirazione per le liriche proviene dalla traumatica vicenda d'amore vissuta dal poeta con Fanny Targioni Tozzetti, un amore in realtà mai corrisposto ma che provocò nel poeta una grande illusione.
Aspasia è l’ultima composizione della serie e a differenza delle altre, fornisce un'immagine negativa della nobildonna e dell'amore.
Lucio Felici presenta questo capolavoro di Leopardi: “centododici endecasillabi sciolti, quasi in forma di epistola. Composta a Napoli tra la primavera e l’estate del 1834.
Testo della poesia “Aspasia”
O fuggitivo
per abitati lochi a me lampeggia
in altri volti; o per deserti campi,
al dì sereno, alle tacenti stelle,
da soave armonia quasi ridesta,
nell'alma a sgomentarsi ancor vicina
quella superba vision risorge.
Quanto adorata, o numi, e quale un giorno
mia delizia ed erinni!
per abitati lochi a me lampeggia
in altri volti; o per deserti campi,
al dì sereno, alle tacenti stelle,
da soave armonia quasi ridesta,
nell'alma a sgomentarsi ancor vicina
quella superba vision risorge.
Quanto adorata, o numi, e quale un giorno
mia delizia ed erinni!
E mai non sento
mover profumo di fiorita piaggia,
nè di fiori olezzar vie cittadine,
ch'io non ti vegga ancor qual eri il giorno
che ne' vezzosi appartamenti accolta,
tutti odorati de' novelli fiori
di primavera, del color vestita
della bruna viola, a me si offerse
l'angelica tua forma, inchino il fianco
sovra nitide pelli, e circonfusa
d'arcana voluttà; quando tu, dotta
allettatrice, fervidi sonanti
baci scoccavi nelle curve labbra
de' tuoi bambini, il niveo collo intanto
porgendo, e lor di tue cagioni ignari
con la man leggiadrissima stringevi
al seno ascoso e desiato. Apparve
novo ciel, nova terra, e quasi un raggio
divino al pensier mio. Così nel fianco
non punto inerme a viva forza impresse
il tuo braccio lo stral, che poscia fitto
ululando portai finch'a quel giorno
si fu due volte ricondotto il sole.
mover profumo di fiorita piaggia,
nè di fiori olezzar vie cittadine,
ch'io non ti vegga ancor qual eri il giorno
che ne' vezzosi appartamenti accolta,
tutti odorati de' novelli fiori
di primavera, del color vestita
della bruna viola, a me si offerse
l'angelica tua forma, inchino il fianco
sovra nitide pelli, e circonfusa
d'arcana voluttà; quando tu, dotta
allettatrice, fervidi sonanti
baci scoccavi nelle curve labbra
de' tuoi bambini, il niveo collo intanto
porgendo, e lor di tue cagioni ignari
con la man leggiadrissima stringevi
al seno ascoso e desiato. Apparve
novo ciel, nova terra, e quasi un raggio
divino al pensier mio. Così nel fianco
non punto inerme a viva forza impresse
il tuo braccio lo stral, che poscia fitto
ululando portai finch'a quel giorno
si fu due volte ricondotto il sole.
Raggio divino al mio pensiero apparve,
donna, la tua beltà. Simile effetto
fan la bellezza e i musicali accordi,
ch'alto mistero d'ignorati Elisi
paion sovente rivelar. Vagheggia
il piagato mortal quindi la figlia
della sua mente, l'amorosa idea,
che gran parte d'Olimpo in se racchiude,
tutta al volto ai costumi alla favella,
pari alla donna che il rapito amante
vagheggiare ed amar confuso estima.
Or questa egli non già, ma quella, ancora
nei corporali amplessi, inchina ed ama.
alfin l'errore e gli scambiati oggetti
conoscendo, s'adira; e spesso incolpa
la donna a torto. A quella eccelsa imago
sorge di rado il femminile ingegno;
e ciò che inspira ai generosi amanti
la sua stessa beltà, donna non pensa,
nè comprender potria. Non cape in quelle
anguste fronti ugual concetto. E male
al vivo sfolgorar di quegli sguardi
spera l'uomo ingannato, e mal richiede
sensi profondi, sconosciuti, e molto
più che virili, in chi dell'uomo, al tutto
da natura è minor. Che se più molli
e più tenui le membra, essa la mente
men capace e men forte anco riceve.
donna, la tua beltà. Simile effetto
fan la bellezza e i musicali accordi,
ch'alto mistero d'ignorati Elisi
paion sovente rivelar. Vagheggia
il piagato mortal quindi la figlia
della sua mente, l'amorosa idea,
che gran parte d'Olimpo in se racchiude,
tutta al volto ai costumi alla favella,
pari alla donna che il rapito amante
vagheggiare ed amar confuso estima.
Or questa egli non già, ma quella, ancora
nei corporali amplessi, inchina ed ama.
alfin l'errore e gli scambiati oggetti
conoscendo, s'adira; e spesso incolpa
la donna a torto. A quella eccelsa imago
sorge di rado il femminile ingegno;
e ciò che inspira ai generosi amanti
la sua stessa beltà, donna non pensa,
nè comprender potria. Non cape in quelle
anguste fronti ugual concetto. E male
al vivo sfolgorar di quegli sguardi
spera l'uomo ingannato, e mal richiede
sensi profondi, sconosciuti, e molto
più che virili, in chi dell'uomo, al tutto
da natura è minor. Che se più molli
e più tenui le membra, essa la mente
men capace e men forte anco riceve.
Nè tu finor giammai quel che tu stessa
inspirasti alcun tempo al mio pensiero,
potesti, Aspasia, immaginar. Non sai
che smisurato amor, che affanni intensi,
che indicibili moti e che deliri
movesti in me; nè verrà tempo alcuno
che tu l'intenda. In simil guisa ignora
esecutor di musici concenti
quel ch'ei con mano o con la voce adopra
in chi l'ascolta. Or quell'Aspasia è morta
che tanto amai. Giace per sempre, oggetto
della mia vita un dì: se non se quanto,
pur come cara larva, ad ora ad ora
tornar costuma e disparir. Tu vivi,
bella non solo ancor, ma bella tanto,
al parer mio, che tutte l'altre avanzi.
Pur quell'ardor che da te nacque è spento:
perch'io te non amai, ma quella Diva
che già vita, or sepolcro, ha nel mio core.
Quella adorai gran tempo; e sì mi piacque
sua celeste beltà, ch'io, per insino
già dal principio conoscente e chiaro
dell'esser tuo, dell'arti e delle frodi,
pur ne' tuoi contemplando i suoi begli occhi,
cupido ti seguii finch'ella visse,
ingannato non già, ma dal piacere
di quella dolce somiglianza, un lungo
servaggio ed aspro a tollerar condotto.
inspirasti alcun tempo al mio pensiero,
potesti, Aspasia, immaginar. Non sai
che smisurato amor, che affanni intensi,
che indicibili moti e che deliri
movesti in me; nè verrà tempo alcuno
che tu l'intenda. In simil guisa ignora
esecutor di musici concenti
quel ch'ei con mano o con la voce adopra
in chi l'ascolta. Or quell'Aspasia è morta
che tanto amai. Giace per sempre, oggetto
della mia vita un dì: se non se quanto,
pur come cara larva, ad ora ad ora
tornar costuma e disparir. Tu vivi,
bella non solo ancor, ma bella tanto,
al parer mio, che tutte l'altre avanzi.
Pur quell'ardor che da te nacque è spento:
perch'io te non amai, ma quella Diva
che già vita, or sepolcro, ha nel mio core.
Quella adorai gran tempo; e sì mi piacque
sua celeste beltà, ch'io, per insino
già dal principio conoscente e chiaro
dell'esser tuo, dell'arti e delle frodi,
pur ne' tuoi contemplando i suoi begli occhi,
cupido ti seguii finch'ella visse,
ingannato non già, ma dal piacere
di quella dolce somiglianza, un lungo
servaggio ed aspro a tollerar condotto.
Or ti vanta, che il puoi. Narra che sola
sei del tuo sesso a cui piegar sostenni
l'altero capo, a cui spontaneo porsi
l'indomito mio cor. Narra che prima,
e spero ultima certo, il ciglio mio
supplichevol vedesti, a te dinanzi
me timido, tremante (ardo in ridirlo
di sdegno e di rossor), me di me privo,
ogni tua voglia, ogni parola, ogni atto
spiar sommessamente, a' tuoi superbi
fastidi impallidir, brillare in volto
ad un segno cortese, ad ogni sguardo
mutar forma e color. Cadde l'incanto,
e spezzato con esso, a terra sparso
il giogo: onde m'allegro. E sebben pieni
di tedio, alfin dopo il servire e dopo
un lungo vaneggiar, contento abbraccio
senno con libertà. Che se d'affetti
orba la vita, e di gentili errori,
e' notte senza stelle a mezzo il verno,
già del fato mortale a me bastante
e conforto e vendetta è che su l'erba
qui neghittoso immobile giacendo,
il mar la terra e il ciel miro e sorrido.
sei del tuo sesso a cui piegar sostenni
l'altero capo, a cui spontaneo porsi
l'indomito mio cor. Narra che prima,
e spero ultima certo, il ciglio mio
supplichevol vedesti, a te dinanzi
me timido, tremante (ardo in ridirlo
di sdegno e di rossor), me di me privo,
ogni tua voglia, ogni parola, ogni atto
spiar sommessamente, a' tuoi superbi
fastidi impallidir, brillare in volto
ad un segno cortese, ad ogni sguardo
mutar forma e color. Cadde l'incanto,
e spezzato con esso, a terra sparso
il giogo: onde m'allegro. E sebben pieni
di tedio, alfin dopo il servire e dopo
un lungo vaneggiar, contento abbraccio
senno con libertà. Che se d'affetti
orba la vita, e di gentili errori,
e' notte senza stelle a mezzo il verno,
già del fato mortale a me bastante
e conforto e vendetta è che su l'erba
qui neghittoso immobile giacendo,
il mar la terra e il ciel miro e sorrido.
Parafrasi e costruzione diretta della poesia "Aspasia".
Il tuo volto torna talvolta nel mio pensiero, Aspasia.
Ora lo rivedo, velocemente, in altri volti della città,
ora esso mi è destato dall'armonia di un giorno sereno,
o dalle tacite stelle, e la mia anima è pronta a turbarsi di nuovo.
Quanta adorata è stata questa visione
e un giorno è stata la mia delizia e il mio tormento.
Un profumo che sento emanare dalla fiorita campagna,
o che provenga dalle vie della città,
mi fa ricordare il giorno nel quale io ti vidi,
tutta raccolta nei tuoi appartamenti, odorosi di
fiori appena colti, vestita con una veste di
colore bruno, con il fianco adagiato sopra un divano,
tutta circondata di misteriosa voluttà, e tu,
dotta allettatrice, intanto che baciavi i tuoi figli e
li stringevi con le lue leggiadrissime mani al
tuo seno coperto e desiderato, alzando il tuo bianco collo,
ti muovevi con un fare seduttivo e malizioso.
Allora un nuovo cielo, una nuova terra, un raggio
divino, apparvero al mio pensiero, tanto che io,
ferito dalla tua freccia d'amore, mi innamorai di te.
Dentro di me portai questo amore infelice, ululando,
da quel giorno ad oggi che fanno due anni.
La tua bellezza apparve al mio pensiero un raggio divino.
La bellezza e l'armonia musicale hanno lo stesso effetto,
e pare che vogliano svelare il profondo mistero e
l'incantevole bellezza di sconosciuti paradisi.
Il giovane, ferito e preso dall'amore, allora,
insegue l'idea di bellezza che egli si crea nella mente;
un'idea di bellezza che racchiude la perfezione divina.
Il giovane amante, confronta l'idea di donna ideale
con quella di donna reale e confonde le due immagini,
così ché negli amplessi corporali egli ama
più la donna ideale che la donna reale.
Confonde la donna reale con quella ideale
e spesso s'adira e incolpa la donna amata.
La donna non sa, e non potrà mai capire,
quale alta idea si fa il giovane dell'amore e
non lo può capire perché un concetto così
alto non entra nella sua mente. Il giovane
cerca invano di scoprire la differenza tra la donna ideale
e quella reale, negli sguardi di lei, o
nei suoi sentimenti e pensieri, che sono diversi
nelle donne, per natura inferiori.
Esse, così come ricevono dalla natura
delle membra più fragili, ricevono anche
una mente meno capace e meno forte.
Tu, Aspasia, non puoi immaginare mai quello
che tu stessa hai fatto nascere nel mio pensiero.
Tu non sai quale smisurato amore, quali affanni intensi,
quali indescrivibili sentimenti amorosi,
quali deliri hai fatto scaturire in me e
allo stesso modo un direttore d'orchestra non sa
quali sono gli effetti che egli provoca in chi lo ascolta.
Ora, però, l'idea (ideale), che io amai tanto, di Aspasia è morta.
L’idea è morta per sempre, e di tanto in tanto, mi
suole ritornare e scomparire la sua sbiadita immagine.
Tu, invece, Aspasia reale, vivi e sei sempre tento bella
che superi tutte le altre.
La passione che era nata per te è morta:
perché io amai non te ma l'idea della bellezza
che ha ancora vita nel mio cuore, mentre
il mio cuore è diventato un sepolcro per te.
Io adorai, per molto tempo, la tua ideale bellezza
e mi piacque tanto seguirla che io,
ben consapevole di te, delle tue arti e
delle tue insidie, contemplando nei tuoi occhi reali
i begli occhi della donna ideale, ti ho seguito cupidamente,
finche l'idea di bellezza visse in me;
accettai di obbedire al tuo dominio,
aspro e lungo, non perché ingannato da te,
ma per il dolce piacere che provavo
nel vedere la dolce somiglianza tra lei (l’ideale) e te.
Ora tu, Aspasia reale, ti puoi vantare perché
puoi dire che sei stata la sola del tuo sesso:
alla quale io abbassai il mio fiero capo e
alla quale io offrii il mio cuore indomito.
Puoi dire che sei stata la prima donna, e spero
che sarai anche l'ultima, che vedesti il mio sguardo
supplichevole, che vedesti me tremante,
timido (brucio di rabbia e di rossore nel dirlo) e
puoi dire che vedesti me fuori di me,
che spiavo e scrutavo sommessamente
ogni tuo desiderio, ogni tua parola e ogni tuo atto;
puoi dire che mi vedesti impallidire ai tuoi
superbi fastidi, vedesti me brillare nel volto
ad ogni tuo atteggiamento benevolo;
puoi dire che vedesti me mutare forma e colore
ad ogni tuo sguardo.
La suggestione del tuo amore, e della mia passione, è finita,
così come è finito anche il dominio che mi legava a te,
e di questo me ne rallegro.
E dopo il lungo servirti, e dopo il mio lungo vaneggiare,
riacquisto, contento, il senno e la libertà, seppure
essi siano pieni di tedio.
Orbene se la vita, priva d'amore e di illusioni,
è triste, vuota come una notte buia e senza stelle
in pieno inverno, tale sono io, perché sono rimasto solo.
Ma il conforto e la vendetta che io mi prendo
sul mio destino mortale consiste nel fatto che
sono divenuto indifferente ed immobile, e
mentre sto seduto qui a guardare il mare,
la terra e il cielo sorrido.
(Sono, quindi, diventato cinico, freddo e distaccato
e mi faccio una risata che esprime scherno, sfida
e disprezzo per il mondo).
Ora lo rivedo, velocemente, in altri volti della città,
ora esso mi è destato dall'armonia di un giorno sereno,
o dalle tacite stelle, e la mia anima è pronta a turbarsi di nuovo.
Quanta adorata è stata questa visione
e un giorno è stata la mia delizia e il mio tormento.
Un profumo che sento emanare dalla fiorita campagna,
o che provenga dalle vie della città,
mi fa ricordare il giorno nel quale io ti vidi,
tutta raccolta nei tuoi appartamenti, odorosi di
fiori appena colti, vestita con una veste di
colore bruno, con il fianco adagiato sopra un divano,
tutta circondata di misteriosa voluttà, e tu,
dotta allettatrice, intanto che baciavi i tuoi figli e
li stringevi con le lue leggiadrissime mani al
tuo seno coperto e desiderato, alzando il tuo bianco collo,
ti muovevi con un fare seduttivo e malizioso.
Allora un nuovo cielo, una nuova terra, un raggio
divino, apparvero al mio pensiero, tanto che io,
ferito dalla tua freccia d'amore, mi innamorai di te.
Dentro di me portai questo amore infelice, ululando,
da quel giorno ad oggi che fanno due anni.
La tua bellezza apparve al mio pensiero un raggio divino.
La bellezza e l'armonia musicale hanno lo stesso effetto,
e pare che vogliano svelare il profondo mistero e
l'incantevole bellezza di sconosciuti paradisi.
Il giovane, ferito e preso dall'amore, allora,
insegue l'idea di bellezza che egli si crea nella mente;
un'idea di bellezza che racchiude la perfezione divina.
Il giovane amante, confronta l'idea di donna ideale
con quella di donna reale e confonde le due immagini,
così ché negli amplessi corporali egli ama
più la donna ideale che la donna reale.
Confonde la donna reale con quella ideale
e spesso s'adira e incolpa la donna amata.
La donna non sa, e non potrà mai capire,
quale alta idea si fa il giovane dell'amore e
non lo può capire perché un concetto così
alto non entra nella sua mente. Il giovane
cerca invano di scoprire la differenza tra la donna ideale
e quella reale, negli sguardi di lei, o
nei suoi sentimenti e pensieri, che sono diversi
nelle donne, per natura inferiori.
Esse, così come ricevono dalla natura
delle membra più fragili, ricevono anche
una mente meno capace e meno forte.
Tu, Aspasia, non puoi immaginare mai quello
che tu stessa hai fatto nascere nel mio pensiero.
Tu non sai quale smisurato amore, quali affanni intensi,
quali indescrivibili sentimenti amorosi,
quali deliri hai fatto scaturire in me e
allo stesso modo un direttore d'orchestra non sa
quali sono gli effetti che egli provoca in chi lo ascolta.
Ora, però, l'idea (ideale), che io amai tanto, di Aspasia è morta.
L’idea è morta per sempre, e di tanto in tanto, mi
suole ritornare e scomparire la sua sbiadita immagine.
Tu, invece, Aspasia reale, vivi e sei sempre tento bella
che superi tutte le altre.
La passione che era nata per te è morta:
perché io amai non te ma l'idea della bellezza
che ha ancora vita nel mio cuore, mentre
il mio cuore è diventato un sepolcro per te.
Io adorai, per molto tempo, la tua ideale bellezza
e mi piacque tanto seguirla che io,
ben consapevole di te, delle tue arti e
delle tue insidie, contemplando nei tuoi occhi reali
i begli occhi della donna ideale, ti ho seguito cupidamente,
finche l'idea di bellezza visse in me;
accettai di obbedire al tuo dominio,
aspro e lungo, non perché ingannato da te,
ma per il dolce piacere che provavo
nel vedere la dolce somiglianza tra lei (l’ideale) e te.
Ora tu, Aspasia reale, ti puoi vantare perché
puoi dire che sei stata la sola del tuo sesso:
alla quale io abbassai il mio fiero capo e
alla quale io offrii il mio cuore indomito.
Puoi dire che sei stata la prima donna, e spero
che sarai anche l'ultima, che vedesti il mio sguardo
supplichevole, che vedesti me tremante,
timido (brucio di rabbia e di rossore nel dirlo) e
puoi dire che vedesti me fuori di me,
che spiavo e scrutavo sommessamente
ogni tuo desiderio, ogni tua parola e ogni tuo atto;
puoi dire che mi vedesti impallidire ai tuoi
superbi fastidi, vedesti me brillare nel volto
ad ogni tuo atteggiamento benevolo;
puoi dire che vedesti me mutare forma e colore
ad ogni tuo sguardo.
La suggestione del tuo amore, e della mia passione, è finita,
così come è finito anche il dominio che mi legava a te,
e di questo me ne rallegro.
E dopo il lungo servirti, e dopo il mio lungo vaneggiare,
riacquisto, contento, il senno e la libertà, seppure
essi siano pieni di tedio.
Orbene se la vita, priva d'amore e di illusioni,
è triste, vuota come una notte buia e senza stelle
in pieno inverno, tale sono io, perché sono rimasto solo.
Ma il conforto e la vendetta che io mi prendo
sul mio destino mortale consiste nel fatto che
sono divenuto indifferente ed immobile, e
mentre sto seduto qui a guardare il mare,
la terra e il cielo sorrido.
(Sono, quindi, diventato cinico, freddo e distaccato
e mi faccio una risata che esprime scherno, sfida
e disprezzo per il mondo).
Testo scritto nel 1999 da Biagio Carrubba.
Letto e corretto da Biagio Carrubba.
Letto e corretto da Biagio Carrubba.
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La magia della poesia di Leopardi dedicata all'amore, la potete trovare nel libro "Il canto delle idee. Leopardi fra Pensiero dominante e Aspasia" e «Aspasia siete voi...» : Lettere di Fanny Targioni Tozzetti e Antonio Ranieri
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