I Neri e i Rossi, le trame segrete
Patrizia Zangla
Quando leggerete questa intervista vi renderete conto della passione che un Autore, come Patrizia, mette nella creazione della propria opera. C'è chi lo dice semplicemente, c'è chi lo esprime in ogni parola che usa per rispondere alle domande che riguardano il suo lavoro. Si sente in particolare lo studio, l'impegno e la profonda analisi dei fatti.
Oltre la
biografia che possiamo leggere sull'aletta di 4^ di copertina, chi è Patrizia
Zangla?
Chi sono? Domanda complicata, la mia biografia
è ricca, mi definisco ‘frontiera’, sono nata e cresciuta a Bolzano da genitori
siciliani, poi ho vissuto in Sicilia, ho il rigore nordico e l’estro siculo. Mi
sono laureata prestissimo, ho vinto il Concorso a cattedra e ho iniziato a
insegnare al Liceo Classico, lo stesso che avevo frequentato qualche anno
prima, dove ho ritrovato i miei professori. Ho continuato a collaborare con
l’Università, ho affinato il metodo di ricerca storica e per conto
dell’Università ho pubblicato le prime ricerche storiche, sono stati anni difficili
in cui incastrare gli affetti allo studio, anni in cui ho imparato tanto, poi …
ho volato da sola. Sono una contemporaneista, mi occupo di storia di Genere,
dei regimi totalitari e degli anni di piombo.
Cosa sono? Una studiosa attratta dall’über -l’oltre-,
una ricercatrice che vuole capire, entrare in profondità nei fatti, osservarli
da prospettive diverse, collegarli fra loro, lasciando la dimensione d’insieme
senza perdere di vista i tratti peculiari distintivi.
Sono anche una mamma … lo sono stata presto,
oggi i miei ragazzi sono grandi, ma io sono sempre una mamma.
In questo
saggio hai parlato dei personaggi o delle organizzazioni che hanno
caratterizzato il periodo degli "anni di piombo". Ma come era e cosa
faceva il resto della società italiana?
Scorrono tante situazioni,
tanti luoghi -Milano di Pinelli, Valpreda e Calabresi, Padova di Freda e di Negri,
Roma dei politici, di Moro e delle BR- tante persone coinvolte a vario titolo,
terroristi, uomini delle istituzioni, politici, intellettuali, giornalisti che
mi hanno aiutato a tratteggiare la società del tempo. In questo saggio mi è
piaciuto scoprire le atmosfere di quegli anni, di quella società un po’
bacchettona e garbata come le Signorine
buonasera, che non sono slegate, ma unite al corpo del testo.
Questa è stata la cosa per
me più difficile ma necessaria perché i fatti della strategia della tensione e
della lotta armata avvengono in quel contesto, in quella società, dovevo essere
così brava da far capire al lettore tutto questo.
Qui - devo dire - c’è
anche la mia dimensione di «storica», colgo sfumature che un uomo non coglie.
Volevo far incastrare i due
corpi sociali, quello in superficie e quello sottotraccia, dove coesistono forze contrarie: quelle che simpatizzano
per l’eversione rossa e quelle
conservatrici per l’eversione nera.
Ho ricostruito i due volti
contrapposti del Belpaese: l’Italia di Carosello
e Canzonissima e quella sottotraccia,
dove silenti si muovono nei gangli dello Stato ambigue figure ma anche l’Italia
dei cortei e delle bombe in strada e della tranquillità quotidiana, delle mamme
- come la mia - che pronunciavano la frase: A
letto dopo Carosello!
Era
assolutamente necessaria la lotta armata? Non bastava rappresentare più
democraticamente le proprie ragioni?
In senso ampio ci sono
sempre altre possibilità per rappresentare la propria volontà, ma questo è un
ragionamento fuorviante perché sconfina nell’analisi filosofica, questo è
invece un terreno rigorosamente storico. Io non sono una testimone, per ragioni
anagrafiche non ho vissuto quegli anni, questo è positivo perché non ho
nostalgie ideologiche, ho un distanziamento critico nei confronti dei fatti che
conferisce al mio lavoro rigore, però è anche negativo perché questi anni
appartengono alla Storia molto recente ed è più faticoso raccogliere
informazioni e poi confrontarle fra loro, selezionarle, infine valutarle e
interpretarle. Questa è una premessa importante perché in sé la Storia unisce
la testimonianza all’immane corpo della documentazione, e nello specifico per
questa parte di storia ancora così vicina questo è un lavoro di ricerca complicatissimo.
La sfida è proprio tornare a quel contesto, a quel momento, mantenere lucidità
e obiettività e tenere comunque in dovuto conto il mio punto di vista.
Alla luce di questa
premessa, penso che in quel contesto la violenza è stata intesa come necessaria
e persino positiva, come metodo dell’azione. Gradualmente, negli anni matura il
passaggio dal dissenso gridato al dissenso armato e organizzato, la gioia
diventa ‘rabbia armata’ verso chi si ritiene nemico. Questa parte di storia
rischia di non essere adeguatamente esaminata se sfugge la storicizzazione, la
specifica dimensione storica, in termini chiari il lettore deve essere portato
‘dentro’, molto dentro ai fatti, deve capire perché tanti giovani hanno
imbracciato una pistola e hanno creduto di fare bene. Questo non significa
giustificare ma rispettare i fatti. Questi sono gli anni della pulsione
fortissima che veniva dalle piazze, dagli studenti, dagli operai, c’è la volontà
ritenuta giusta, di dare risposta alle bombe nere, ossia al terrorismo nero e
alla strategia della tensione.
Certo, nella
valutazione odierna potrebbe apparire come una giustificazione perché si ragiona
sull’effetto, su cosa ha prodotto la lotta armata, si sofferma l’attenzione
sull’esito, sul bilancio drammatico e smisurato - perché di questo si è
trattato - della violenza, sulle vittime, ma questa è altra valutazione,
eventualmente parallela.
Cosa è cambiato da allora?
Tutto. Veramente
tutto. Dal tanto impegno, vissuto come un credo, al disimpegno vissuto come
un credo. Meno coralità e maggiore individualismo. Quella è l’Italia degli
opposti estremismi, dei Neri e dei Rossi, della divisione in piazze nere e
piazze rosse, dei quartieri rossi e
quartieri neri. La nostra è una società liquida,
molto avanzata tecnologicamente, e molto rapida. Mi viene tenerezza a pensare
a certi scritti che ho consultato, alle testimonianze di quegli anni che
riferivano le «lunghe discussioni» fra
i giovani, il loro desiderio di mettere in discussione ogni cosa che è molto
di più del consueto ribellismo giovanile.
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Prendendo
atto anche delle conquiste sociali che si sono verificate, è vero, come ho
scritto nella recensione, che quel periodo ha rappresentato forse la prima
accelerazione verso la frenetica vita moderna?
Indubbiamente, quel momento ha accelerato il percorso
storico, lo ha anche cambiato in meglio, penso alle grandi conquiste: l’uguaglianza
fra i sessi, il diritto allo studio, le leggi sull’aborto e sul divorzio,
etc.
Che ruolo
ha giocato la stampa dell'epoca?
Straordinariamente
importante. Casalegno, Maffai, Cederna, Tobagi, Montanelli, De Mauro, Zavoli e
tanti, tanti altri. Firme da brivido!
Il ruolo della stampa in quegli anni è stato importantissimo, i giornali,
la radio, la televisione, i mezzi di comunicazione di massa, e prima ancora le agenzie,
sapevano di far leva sul lato emotivo della gente comune, hanno avuto per
questo un potere enorme e molto di più lo ha avuto chi ha volontariamente
orientato la stampa a proprio vantaggio, penso alla frase «Mettiamo la bomba e
montiamo la stampa».
Questo è l’altro focus della mia indagine, lasciare emergere la lettura
mediatica, il rapporto fra informazione e controinformazione, e le informazioni
orientate e orientanti del
pensiero dominante. Spesso nel libro emerge come le informazioni
sono state anche distorte o deviate, da strutture clandestine sollecitate da ambienti istituzionali
deviati, da realtà internazionali, da uomini legati a poteri e da uomini dello Stato che
hanno lavorato sottotraccia per
sovvertire lo Stato. Questo è un aspetto di grande rilevanza.
Cosa
sarebbe cambiato con i nuovi sistemi di informazione?
Tutto. A volte ci penso,
penso che l’esito di molti fatti sarebbe stato differente nel bene e nel male. Nel
saggio cerco di entrare nella centrale della strategia della tensione, di cogliere
le relazioni con il mondo politico, affaristico, nazionale e internazionale, di
capire come funziona il potere deviato e se c’è stata una centrale unica
dell’eversione rossa, oggi mi dovrei muovere in altro modo, per capire le stesse
cose dovrei diventare necessariamente un esperto informatico come avrebbero dovuto
esserlo tutti o quasi i protagonisti del mio saggio.
Sappiamo
veramente tutto rispetto ai fatti accaduti?
C’è sempre un - non detto -,
più di uno. La mole documentale è imponente, le testimonianze sono anche incongruenti,
contraddittorie, ci sono ombre da dissipare.
Tuttavia, come emerge dal
saggio il tema non è la verità, questo è un termine storicamente fuorviante. Lo
storico deve cercare di ricostruire meglio che può il fatto-evento, appunto,
meglio che può, una porzione resta comunque segreta appartiene ai vertici dello
Stato. In ogni caso, non mi interessa dividere il mondo fra buoni e cattivi, né
il manicheo distinguo tra verità e bugia, non condanno né assolvo, cerco di far
parlare i fatti, e metto ordine.
La Storia non è una
scienza esatta, questo il motivo per cui di alcuni fatti-eventi propongo più ipotesi
interpretative, di altri raggiungo nuove prospettive.
C’è
ancora spazio per la ricerca, e io ne sono molto contenta!
Sei
d'accordo che quanto hai scritto nel tuo saggio dovrebbe essere materia di
studio nelle scuole superiori, anche a costo di ridurre lo studio delle guerre
puniche?
Magari. La storia è tutta
importante, il problema principale è la didattica, ossia come è insegnata. Rispondo
così: è insegnata male dai docenti, come un susseguirsi di date e dati di cui
non resta traccia nella testa degli studenti. Riguardo ai contenuti più che
togliere si dovrebbe rimodulare in toto e collegare ai fatti antichi quelli più
recenti. Questo è un altro nodo, non è insegnata bene la parte di Storia dopo
la II guerra mondiale, si fa molto in fretta e per grandi sintesi a discapito
delle giovani generazioni che sono alla radice private di conoscenze e di poter
sviluppare un forte senso civico di cui avrebbero bisogno per essere pienamente
uomini e donne del proprio tempo, italiani e europei. Per questo è
importante far conoscere. È un recupero identitario per i ragazzi e per i tanti
italiani smarriti e privi di memoria. Questo è un tema molto attuale.
Vuoi
farti una domanda che noi non ti faremmo?
“Perché
dovrebbero leggere questo libro? Perché?”
Perché? È stata una sfida scriverlo, per tante
ragioni. Le fonti consultate non sono più quelle canonicamente intese come
fonti documentarie, è stato necessario valutare una mole spropositata di
materiale, oltre a quello documentale d’archivio, fonti memorialistiche,
biografiche, giornalistiche, atti giudiziari - che sono una quantità impressionante. Poi procedere … e procedere,
ovvero selezionare, vagliare, interpretare criticamente, affrontando il rischio
di disperdere la ricerca in mille rivoli, perdere il tessuto, l’ordito
narrativo.
È una ricerca vastissima senza punto conclusivo
e - questo mi piace tanto, anche se mi fa impazzire - e mutevole. La storia è
mutevole, naturalmente lo è, contrariamente al pensiero comune che la ritiene
immutabile. Sto continuando a studiare e sto rileggendo e rivedendo anche
quanto già visionato.
Perché? È utile. È un’opera di divulgazione
storica moderna, anche snella, è un libro di educazione civile, utile come
concreto apporto alla coscienza politica e civile del nostro Paese.
Perché? Perché fa bene a una società cieca come
la nostra.
Ultima
domanda - A proposito della tua partecipazione al
Premio Cerruglio, cosa vorresti dire alla Giuria del Premio perché debba scegliere
il tuo libro?
Spero
possa piacere leggerlo quanto a me è piaciuto scriverlo.
Grazie, Patrizia e ... in bocca al lupo!
Valter
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