Cyber Security
Raffaele Marchetti - Roberta Mulas
Raffaele Marchetti e Roberta Mulas mi hanno convinto del contrario. Dopo aver letto il loro saggio sulla cyber security ho cambiato idea e, credetemi, lo farete anche voi.
Ecco due chiacchiere con gli Autori.
Prof.
Marchetti perché si scrive un libro sulla cyber security?
Perché è la dimensione della sicurezza
che richiede maggior attenzione oggi. Il governo e le organizzazioni
internazionali se ne stanno occupando sempre più. Ma per sua natura il rischio cyber
non pone una minaccia che possa essere fronteggiata adeguatamente soltanto a
livello governativo. È essenziale che anche le imprese e gli utenti individuali
prendano consapevolezza dei rischi, e che da un lato investano di più su questo
fronte e dall’altro adottino standard più elevati di igiene cibernetica.
Si
stanno formando delle nuove figure professionali? Tipo gendarmi del
cyberspazio?
Di attori cibernetici ce ne sono tanti,
di buoni (gli hacker etici) e di cattivi (i terroristi cyber). Il problema
sorge dalla facilità attraverso la quale si può arrivare ad essere capaci di
provocare danni ingenti. Per costruire una bomba atomica ci vogliono
investimenti e conoscenze molto sofisticate. Per attaccare un sito o una
infrastruttura critica ci vuole conoscenza molto più accessibile e poche
risorse per comprare sul dark web le armi cibernetiche del caso.
I governi, la polizia, l’esercito,
l’intelligence, così come le imprese, stanno facendo significativi investimenti
per fronteggiare questo nemico diffuso. Abbiamo bisogno di gendarmi del
cyberspazio, ma ancora di più abbiamo bisogno di prendere consapevolezza che i
dati sono il bene più prezioso nella nostra società e che come tale va
protetto.
Non
pensa che sarebbe necessario adottare una serie di regole ferree da parte delle
istituzioni nazionali e internazionali? Naturalmente se si è poi in grado di
farle rispettare
A livello internazionale ci sono vari
tentativi di regolare lo spazio cibernetico, ma per ora rimangono perlopiù
dichiarazioni di principio. Manca un accordo tra le grandi potenze: ci sono
interessi divergenti e manca ancora una asimmetria della deterrenza. Quando
raggiungeremo tale simmetria del terrore riusciremo anche a limitare l’uso
delle armi cibernetiche cosi come abbiamo fatto nei decenni passati per le armi
convenzionali.
Nel
caso del phishing, ad esempio, il reato si determina nel phishing in sé o nel
successivo eventuale furto di denaro se riesce ad avere le credenziali del
proprio conto in banca?
il phishing è di solito
ricondotto alla fattispecie di truffa; nel caso in cui non si determini
l'evento di danno patrimoniale, potrebbe trovare configurarsi il tentativo
(art. 56) in relazione alla ipotesi criminosa di parte speciale.
Nel
caso in cui si riesca ad individuare un hacker o comunque un delinquente del
web quali possono essere le pene da infliggere? Esiste un elenco di cybercrime?
Dipende dalla tipologia di
condotta posta in essere. Nel nostro sistema vi sono diverse figure riportabili
ai c.d. computer crimes (ad es. frode informatica, 640 ter c.p.; l'accesso
abusivo a sistema informatico etc. 615 ter c.p.; le diverse ipotesi di
danneggiamento informatico); accanto a queste vi sono figure quali ad es.
Pedopornografia on line oppure reati comuni (diffamazione) che si caratterizzano
in modo peculiare nel caso di realizzazione on line.
Lei
ha suggerito una serie di risposte individuali alle
minacce e delineato delle buone pratiche aziendali pensa che possano bastare a
difendersi completamente o soltanto a limitarne i danni?
La difesa, o meglio e più
realisticamente la minimizzazione del danno, le si persegue attraverso
un’azione congiunta a livello pubblico e privato. Da un lato il governo deve
rafforzare il tipo di difese necessarie a mettere al sicuro il perimetro
critico nazionale e soprattutto le infrastrutture critiche. Dall’altro le
imprese devono investire di più sulla sybersecurity e fattivamente collaborare
con le istituzioni per ciò che riguarda, per esempio, la condivisione delle
informazioni sui crimini che subiscono. Infine, gli individui devono aggiornare
il loro comportamento digitale e rendersi conto che accanto alle enormi
opportunità ci sono anche seri rischio nel mondo cibernetico che sta sempre più
colonizzando quello fisico.
D.ssa Mulas, nel libro "Cyber Security" lei ha descritto
perfettamente la nascita e l'evoluzione della sicurezza informatica. Possibile
che non si riesca a tenere sotto stretto controllo questo dark web?
È vero che il dark web
pullula di attività illecite, dalla vendita di armi e droga, dalla
pedopornografia ai servizi di hacking. L’anonimato del dark web, tuttavia, si è
anche rivelato utilissimo per aggirare i controlli di stati autoritari e
permettere a giornalisti e whistleblower di condividere informazioni in maniera
più sicura. Al di là della discutibile desiderabilità di mettere sotto stretto
controllo il dark web, farlo si rivelerebbe costosissimo e forse impossibile.
Questo non vuol dire, però, che il dark web non venga sorvegliato: per esempio,
lo scorso luglio le attività investigative congiunte di FBI ed Europol, insieme
alla polizie di vari paesi, hanno portato alla chiusura di AlphaBay, il più
grande mercato della droga del dark web, con circa 40.000 venditori e oltre
200.000 clienti.
In che percentuale vengono scoperte le minacce?
Anche le compagnie che
offrono soluzioni di sicurezza informatica osservano da vicino il dark web per
scoprire le più recenti minacce in modo da sviluppare modi per difendersi. Ogni
giorno sono centinaia di migliaia i nuovi malware creati e il numero degli
attacchi è in costante aumento (una media di 94 attacchi gravi al giorno nel
2017, secondo il rapporto Clusit). È impossibile sapere con certezza quanta
parte degli attacchi cibernetici venga scoperto perché molto spesso le aziende
che li subiscono tendono a non denunciarli, quando anche se ne rendano conto.
Le aziende americane, a seconda delle stime, impieghebbero tra i 140 e i 200
giorni, in media, per accorgersi di aver subito un cyberattack.
E quante frodi o reati vengono evitati grazie alla prevenzione?
Microsoft sostiene che i
computer non protetti da antivirus siano 5,5 volte più suscettibili di essere
infettati rispetto a quelli che utilizzano un software di protezione. Tuttavia,
la loro capacità di individuare le minacce ha subito notevoli contraccolpi
negli ultimi anni. I produttori di antivirus trovavano un nuovo malware ogni 12
minuti nel 2005, nel 2016 uno al secondo. E moltissimi non riescono a trovarli:
il 30% secondo alcune stime.
E' possibile fare di più?
Assolutamente sì. Le nostre
difese dal crimine informatico sono ancora drammaticamente basse. Ma oltre a
difendersi è necessario farsi trovare preparati: proteggere le informazioni più
importanti, avere back-up dei propri dati, istituire protocolli in caso di
attacco, ma anche semplicemente utilizzare delle password sicure e cambiarle di
frequente. Infatti, un generale rafforzamento della cultura della cybersecurity
potrebbe evitare moltissime minacce, non solo quelle di cui tutti noi possiamo
diventare vittime, ma anche frodi informatiche mirate ad aziende, in cui spesso
accade che sia l’individuo l’anello debole tramite il quale viene sferrato
l’attacco.
Nonostante questi grossi problemi, ormai in casa tutto è collegato
alla rete anche gli elettrodomestici. E' una cosa sbagliata o almeno in casa si
è fuori pericolo?
Sicuramente qualunque
dispositivo connesso alla rete può essere attaccato, quindi quel che stiamo
facendo è allargare la superficie a rischio di attacco, con ogni nuova
stampante, caffettiera e telecamera di videosorveglianza che installiamo a casa
nostra. E anche in questo caso, spessissimo non vengono rispettati i più
basilari criteri di “igiene cibernetica”, come cambiare sempre la password
fornita col prodotto.
Parlando di soggetti privati o piccole aziende, non certo di
Istituzioni come la Difesa o simili, tenuto conto della necessità di usare la
rete è maggiore il prezzo da pagare per la prevenzione dei danni o quello della
riparazione?
La prevenzione a livello
aziendale, può aiutare immensamente a evitare infezioni da malware e frodi
informatiche. I costi del crimine informatico nel settore privato sono
elevatissimi: secondo uno studio del Ponemon Institute una media di 11,7
milioni di dollari per azienda globalmente, in Italia circa 6,7 milioni. Ma
contro alcuni costi non c’è riparazione possibile, come nel caso di furto di
proprietà intellettuale. Questo non fa che sottolineare l’importanza di
adottare strategie di sicurezza, e infatti gli investimenti in cybersecurity
delle aziende sono in forte crescita (Gartner prevede 96 miliardi di dollari
nel 2018).
Grazie ai proff. Marchetti e Mulas e, a proposito del Premio Cerruglio, in bocca al lupo!
Valter
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