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venerdì 10 agosto 2018

Due chiacchiere con l' Autrice

 Due chiacchiere con l'Autrice

Ritanna Armeni - Una donna può tutto 


 



UNA DONNA PUO’ TUTTO
1941: volano le Streghe della notte
Intervista con Ritanna Armeni




Ritanna Armeni non ha bisogno di presentazioni, è un personaggio conosciuto nel mondo culturale e giornalistico italiano, apprezzato perché pacatamente deciso coerente e saggio. Parlare al maschile, però, con lei, può essere pericoloso, quindi torniamo al femminile. Ritanna conosce bene la Russia e proprio lì ha trovato una storia di donne che val la pena di raccontare e lo ha fatto con questo bel libro. Serviva fare due chiacchiere con lei dopo averlo letto:

Di Armeni sappiamo che è una giornalista, una scrittrice, una femminista, una donna di successo. Ci vuoi dire invece chi è Ritanna?

Ritanna è anche madre, moglie, figlia, nonna. Vive ancora quattro ruoli, tutti impegnativi, ma mai esclusivi. Nella mia vita Armeni, cioè il mio lavoro, ha avuto la meglio su Ritanna, la mia vita privata. Non me ne dispiace e non ho rimpianti. Ti dirò di più: senza il mio impegno probabilmente sarei stata una moglie, una madre, una figlia e una nonna peggiore.
                                                                              
La seconda Guerra Mondiale è stata raccontata in mille modi e con mille storie diverse. Questa delle streghe della notte credo sia una novità assoluta almeno in Italia. Come sei arrivata a scoprire questa storia?

Per caso, come spesso capita nella vita e nella scrittura. Avevo già scritto una storia russa, quella del grande amore sconosciuto fra Lenin e Inessa Armand. Stavo intervistando a Mosca un veterano della seconda guerra mondiale che a un certo punto ha nominato “le streghe della notte”. Non le conoscevo, mi sono fatta spiegare chi erano e sono rimasta colpita da queste giovanissime aviatrici che su aerei giocattolo, di notte al buio a motori spenti bombardavano le postazioni tedesche e che facevano tanta paura da essere soprannominate “nachthexen”.  In una manciata di secondi ho deciso che era una storia che meritava di essere scritta. Ho poi avuto la fortuna di incontrare l’ultima strega vivente Irina Rakobolskaja, la vice comandante del reggimento delle streghe, che mi ha raccontato a lungo delle sue compagne. 

Hai avuto difficoltà nella ricerca storica e nei rapporti con la nomenclatura sovietica?

Ho avuto, all’inizio, una difficoltà psicologica. I russi sono molto orgogliosi del loro ruolo in quella che denominano “la grande guerra patriottica” che è fondativa della moderna Russia. Hanno l’impressione – a mio parere giusta – che noi occidentali non abbiamo compreso o non vogliamo riconoscere il ruolo dell’Unione sovietica, l’importanza decisiva che, ad esempio, ha avuto la battaglia di Stalingrado, il numero davvero sconvolgente dei loro morti, gli immensi sacrifici dei cittadini sovietici e dell’Armata Rossa nella lotta contro il nazifascismo. Di conseguenza nutrono qualche diffidenza nei confronti dello “straniero” che si vuole occupare di loro. Se ripenso a come studiamo la storia di quegli anni, mi pare una diffidenza comprensibile. Se poi penso a un film come quello di Roberto Benigni “La vita è bella” in cui la liberazione di Auschwitz è attribuita alle truppe americane… ritengo che abbiano tutte le ragioni per diffidare di noi. Devo dire che la diffidenza nei miei confronti è durata poco.

Come sei riuscita a muoverti in un Paese non esattamente come il nostro?

I russi sono molto diversi da noi. Hanno una cultura diversa dalla nostra, tradizioni differenti su cui sono stati scritti libri bellissimi.  Nelle relazioni private mantengono una certa rudezza esteriore che può impressionare negativamente. Sono avari di sorrisi, ad esempio. Ne sono rimasta così colpita che ho chiesto alla traduttrice del mio libro perché non sorridessero mai. Mi ha risposto – rudemente appunto – che loro elargivano il loro sorriso solo a chi lo meritava. Era troppo prezioso per sprecarlo con persone che poi magari si rivelavano non degne. Ho capito rapidamente che dietro quest’atteggiamento così diverso dalla cortesia formale, dal bon ton che caratterizza gran parte dei rapporti nei paesi occidentali e che per noi rappresentano comunque valori, c’è una cordialità schietta che, passati i primi momenti, si manifesta in forme di generosità per noi inimmaginabili.

Parliamo delle streghe. Queste donne hanno imparato a essere combattenti in pochissimo tempo non solo dal punto di vista tecnico ma anche da quello gerarchico e disciplinare. Come sono riuscite a raggiungere addirittura la totale autonomia operativa?

Le streghe formavano un reggimento, il 588, che faceva parte dell’aviazione sovietica. All’inizio non sono state ben viste dai loro compagni. Le avevano soprannominate “il reggimento delle stupidine”, parlavano di loro come di “principessine”, le deridevano. Non si erano mai viste delle pilote bombardiere e quelle ragazze apparivano, anzi erano, giovanissime e impreparate. Per questo le donne del reggimento hanno fatto tutto da sole, hanno dimostrato, pur all’interno della disciplina e delle gerarchia dell’Armata Rossa, che una donna poteva fare come e meglio di un uomo, che dell’apporto maschile si poteva fare a meno. Quando i generali hanno visto i risultati di quello sforzo e di quell’atteggiamento “separatista” non hanno potuto non riconoscere il valore di quelle “ragazze”. Il reggimento 588 ha al suo interno un numero altissimo di eroine dell’Unione Sovietica che è il massimo riconoscimento.

Secondo te l’orgoglio delle protagoniste è stato condiviso anche dalle altre donne sovietiche? Sono state da queste ultime ammirate per il loro coraggio? E si sono sentite rappresentate?

Le streghe erano famose in Unione sovietica e lo sono nella moderna Russia. Sono presenti nei loro libri di storia e nei loro musei sulla grande guerra patriottica. Le streghe non sono solo delle combattenti ma rappresentano uno straordinario esempio di emancipazione.

Quanto di questa storia è rimasto vivo nel ricordo della popolazione russa?

Molto, ma non sempre nel modo giusto. I russi che – lo ripeto – ritengono la sconfitta del nazifascismo momento fondamentale per la costruzione del loro paese manifestano sempre - pubblicamente e privatamente - il più grande rispetto per i combattenti di quella guerra. Le streghe sono state combattenti e come tali sono ancora ricordate e ammirate. Ma non erano combattenti come gli altri. Erano donne che hanno superato la barriera del pregiudizio, hanno costruito una loro organizzazione interna autonoma, che hanno voluto portare anche nella guerra il valore specifico delle donne. Ecco, questo non è del tutto compreso.  Irina Rakobolskaja ha voluto raccontare la loro storia perché non voleva che quell’esperienza così particolare andasse perduta, che si confondesse con i tanti pur importanti esempi di eroismo. Il 588 non era formato solo di donne combattenti, ma appunto di streghe.

Il vero goal del 588° Reggimento è stato sconfiggere il nemico oppure il pregiudizio, la diffidenza dei compagni uomini e quindi mettere un tassello per una sospirata emancipazione?

Le streghe hanno combattuto per entrambi gli obiettivi. Non avrebbero potuto battere la diffidenza del resto dell’esercito russo se non avessero dimostrato che “una donna può tutto”. Ma non sarebbero state così capaci nei confronti del nemico se non avesse costruito un loro modo autonomo di essere combattenti. Hanno raggiunto entrambi gli obiettivi e anche un terzo. Oggi hanno un posto nella storia.

Irina Rakobolskaja è l’ultima strega. Colei che ti ha raccontato questa bellissima storia. Parlaci di lei e facci capire se i suoi ricordi erano veramente obiettivi o se ritieni le sia capitato di enfatizzare orgogliosamente qualche episodio.

Quando ho conosciuto Irina, aveva novantasei anni e sarebbe morta dopo qualche mese. Era stata per oltre quarant’anni insegnante di fisica all’Università statale di Mosca, un’accademica insigne. Aveva, quindi, nel racconto chiarezza e autorevolezza. Irina era anche una donna ironica, mai retorica o enfatica, non parlava in termini di eroismo, preferiva non indugiare sui tanti momenti tragici della guerra. A lei interessava soprattutto che il ricordo delle sue compagne non scomparisse o magari annegasse fra i tanti episodi eroici della grande guerra patriottica. Preparava i nostri incontri come si prepara una lezione, esponeva i fatti, ricordava, forniva dei materiali. E qualche volta raccontava episodi divertenti, curiosi che facevano per un attimo dimenticare la guerra o ne mostravano un volto diverso. Un volto di donna, appunto. 

Un grazie di cuore a Ritanna Armeni per averci concesso questa intervista. A presto

Valter 


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