giovedì 15 marzo 2018

Recensione: Se mi tornassi questa sera accanto di Carmen Pellegrino

 
SCHEDA TECNICA
 
Titolo: Se mi tornassi questa sera accanto
Autore: Carmen Pellegrino
Editore: Giunti
Pagine: 240
Genere: Narrativa contemporanea
Pubblicazione: 1 Marzo 2017
Formato: Kindle, cartaceo
 
Valutazione


Solo la terra non tradisce mai
 
Carmen Pellegrino, l’abbandonologa, con il suo romanzo d’esordio ha vinto il Premio Rapallo e il Premio Selezione Campiello. Il suo secondo libro Se mi tornassi questa sera accanto  è  una delle letture più coinvolgenti e commoventi di questo anno, grazie alla scrittura elegante, curatissima e levigata, pregna di risonanze liriche, intessuta di parole dei poeti amati dalla Pellegrino, e grazie alla storia:  lo scontro generazionale tra un padre e una figlia, la distanza che esiste tra le persone, anche quelle che si amano e gli abbandoni che lacerano a tal punto da sconquassare le esistenze. Commuove la storia e la modalità espressiva con cui viene raccontata dall’autrice, per questo è uno dei libri che mi ha più convinta quest’anno. Il  romanzo parla di  "disperanza" , che è la forza primitiva  che fa inseguire la speranza nelle cose disperanti, l’energia che trasferisce i sogni interrotti ad altre persone, rendendoli possibili.
Quella tra genitori e figli è una storia complicata, un bel casino: sfide, rapporti che impazziscono, una corsa a ostacoli, nella quale chi vince perde ugualmente.
Il titolo del romanzo è il primo verso della poesia, bellissima
 “A mio padre” di Alfonso Gatto; il libro  è suddiviso in due parti: Al di qua dalle mura e al di là dalle mura, le mura sono quelle di una casa prigione che soffoca fin da piccola Lulù, la protagonista, la quale fugge di casa e dai genitori per cercarsi e trovare una sua identità, diversa da quella impostale da suo padre.
Giosuè Pindari è un idealista con un fare pratico, visceralmente legato alla terra, all’utopia  socialista e alla moglie Nora, una donna ammalata di nervi, tutta persa dentro se stessa, che non sa essere madre alla piccola Lulù, che si ritrova ciclicamente ad assolvere ai ruoli di madre, padre, figlia accudente.  Giosuè è testimone del fallimento delle sue idee e plasma la figlia nella prospettiva che lei possa attuare il sogno di realizzare la "Città dell’Ignoto Ideale", addirittura la convince a frequentare agraria e ad abbandonare il suo amore Frank, per dedicare tutta se stessa alla causa. Il sogno rimarrà nella mente di Giosuè perché quel paese delle montagne appenniniche lucane, attraversato dal fiume, voce intensa e lirica del romanzo, sarà invaso dalle pale eoliche, dalle antenne e dalle discariche. Il progetto diviene impossibile ma documenta lo spirito idealistico di Giosuè che trascina la figlia nella scrittura della Carta Suprema, una sorta di costituzione della città, che alla scrittrice è stata ispirata dai resti in pietra di Campomaggiore Vecchio (in Basilicata) la Città dell’Utopia fondata nel 1741; è composta di sedici articoli, tutti significativi, imperniati sul principio della leggerezza del vivere, ne riporto alcuni:
"Nella Città dell’Ignoto Ideale si lavora per vivere, non si vive per lavorare; siamo in cerca dell’Ideale che verrà.
L’Ideale è Ignoto ma non è morto! Se non lo si vede in giro è soltanto per timidezza; l’assistenza sanitaria è gratuita e continua; nella nostra Città si biasima l’ubriachezza ma si fa divieto esplicito di sobrietà".
Il romanzo traccia il percorso di crescita di un padre che con le sue imposizioni ha costretto sua figlia ad andare via e di una figlia che, allontanandosi dalla casa paterna e ascoltando le voci del fiume, un altrove rispetto a quello del suo paese, arriva a comprendere le ragioni del padre. Giosuè decide di scrivere delle lettere a Lulù e le affida al fiume sperando in cuor suo che arrivino a lei.
La scrittura possiede la virtù di risanare ferite dolorose, rinsaldare legami incrinati, palesare verità taciute, riconciliarsi con la vita e, prima di tutto, con se stessi, passare al setaccio gli errori commessi. Anche Lulù alla fine del romanzo scrive una lettera ai suoi genitori, rivelando quello che è diventata, grazie alla vicinanza di un uomo complementare al padre e a sé, Andreone. Sono “sponda provvidenziale” l’uno all’altra, Andreone e Lulù, che si sostengono e si salvano dall’abbandono delle persone da loro più amate. Il fascino ammaliante del fiume concede l’occasione di riannodare i fili con il passato, regala quiete ai tormenti, il dono della riconciliazione sia ad Andreone sia a Lulù, che partono dal fiume per ricominciare un nuovo percorso di vita.
"Dicono che nella vita si scelga sempre: si sceglie dove andare, con chi stare, si sceglie persino cosa perdere e cosa trattenere.
Io ho sempre perso, anche senza averlo scelto".
Il passato di Lulù è segnato dall’assenza della madre Nora, impegnata a vagare con la mente tra le ragnatele del passato e di un amore frantumato, completamente anaffettiva nei confronti della sua unica figlia, che cresce sentendosi in colpa e cercando di assecondare i desideri dei genitori. Nel tempo Lulù perde freschezza e vitalità, schiacciata dal peso della responsabilità nell’accudire la madre non più stabile mentalmente.
L’ultima e unica lettera che Lulù affida al fiume perché la consegni a suo padre è il dono di una sofferta riconciliazione  con i suoi genitori, costata dolore e sudore, e con se stessa. Stare lontana da Giosuè e Nora permette a Lulù, con la mediazione di Andreone, di ripensare ai gesti dei suoi genitori e di arrivare a comprendere il legame sotterraneo con la madre e l’irruenza invadente del padre.
Un libro delicato e struggente, potente e dalla scrittura seducente rivela una scrittrice che sa ammantare di poesia ogni parola e cosa che descrive e racconta.
 Recensione di Grazia Procino

Della stessa autrice:

- Cade la terra vincitore Premio Rapallo e il Premio Selezione Campiello.
 
 

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