sabato 27 gennaio 2018

Recensione: Se questa è una donna di Monica Alvarez


SCHEDA TECNICA

 
Titolo: Se questa è una donna
Autore: Monica G. Alvarez
Editore: Piemme
Collana: True
Formato : Kindle; cartaceo
Pagine: 390
Pubblicazione: 19 Gennaio 2016
 
Valutazione
 
 
 
Considerate se questa è una donna,
Senza capelli e senza nome
Senza più forza di ricordare
Vuoti gli occhi e freddo il grembo
Come una rana d’inverno.
 
 
Ho letto questo libro tempo fa e non ho mai avuto il coraggio di recensirlo. Ma oggi, giorno della memoria, penso sia arrivato il momento di dare dignità a tutti gli ebrei trucidati e uccisi nelle camere a gas. (e non solo)
E’ giusto che gli orrori compiuti dai nazisti vengano a galla; è giusto non chiudere gli occhi o negare l’Olocausto come oggigiorno accade, perché solo la conoscenza può impedire che tali orrori vengano commessi ulteriormente.
Noi tutti conosciamo gli orrori commessi da uomini atroci come Mengele, Himmler, Goebbels e tanti altri, ma come si fa ad accettare che tali crimini vengano commessi da donne?
L’autrice del libro, Monica Alvarez è una giornalista esperta di storia che ci documenta attraverso testimonianze,  la crudeltà perpetrata dalle donne naziste ai danni di donne e bambini ebrei.  Ci racconta “l’altra faccia del male”.
Nei campi di concentramento settore donne e bambini, il controllo spettava alle “Guardiane”; donne seguaci dell’ ideologia di Hitler circa  l’annientamento degli ebrei. Il motivo? Nessuno. Il loro unico errore fu quello di nascere ebrei.
Attraverso le testimonianze delle sopravvissute, sette guardiane sono state riconosciute: Margarete Ilse Kohler, (la “cagna di Buchenwald”); Irma Grese ( bestia bella); Maria Mandel  ( la bestia di Auschwitz); Herta Bothe ( la sadica di Stutthof); Dorothea Binz ( chiamata semplicemente La Binz); Hermine Braunsteiner ( la cavalla di Majdanek); Juana Bormann ( la donna dei cani); ciascuna di esse, uccideva e torturava dalle 50 alle 500 persone al giorno. Alcune sono state condannate, altre sono fuggite…
Il libro è composto da due parti:
-la prima parte è dedicata all’approfondimento delle sette “donne”, dalla loro vita privata alla loro vita all’interno dei campi di concentramento in cui vengono elencate le barbarie commesse,  descritte in maniera dettagliata senza lasciare spazio alcuno alla fantasia. Solo leggendo queste pagine cariche di crudeltà, si comprende il perché di quei soprannomi “appioppati” a  ciascuna di esse. Ogni pagina urla la sofferenza e il dolore dell’umanità;
-la seconda parte è dedicata ai processi post liberazione con testimonianze e atti documentati.
Pagine di libro e di testimonianze che fanno male al cuore  e all’anima.
Come può una donna massacrare e guidare la marcia dei bambini lungo le camere a gas?
La donna non simboleggia la maternità e la sensibilità umana?
Com’è possibile che un’ideologia politica rubi l’anima agli individui e assorba il suo essere umano?
Queste e tante altre domande, mi sono posta durante la lettura del libro; domande a cui purtroppo non ho saputo dare alcuna risposta.

  “… quando parlava con membri delle SS o con le colleghe, era affascinante e molto piacevole. Quando invece si rivolgeva a noi e ci malmenava, il suo viso era orribile. Non era il viso di una donna”.
(testimonianza di Ostrowska Henryka durante il processo di Majdanek)

“…obbligò un gruppo di recluse a denudarsi in pieno inverno. Poi versò su di loro acqua gelata. Se si muovevano , la Paradies le malmenava”
(testimonianza durante il “Giudizio di Stutthof” iniziato il 25 Aprile del 1945 nella città di Danzica).

Tante altre testimonianze sono presenti nel libro, ma anche frammenti di interrogatori degli imputati.
Avrei voluto che questo libro come tanti altri non fosse mai stato scritto; avrei voluto che questa pagina di storia non fosse mai avvenuta; sarebbe bello svegliarsi un giorno e scoprire si sia trattato solo di una “fake notizia”.
Si dice che col tempo le disgrazie e gli orrori si trasformano e si dimenticano. Ma penso che questo sia impossibile; questo orrore ha lasciato una macchia indelebile nel cuore dell’umanità. Possiamo solo evitare che questi orrori ed errori del passato si ripetano; e per fare ciò è fondamentale la conoscenza; perciò consiglio a tutti la lettura del libro di Monica Alvarez che con crudeltà ci racconta gli eventi.

 

UN PAIO DI SCARPETTE ROSSE
C’è un paio di scarpette rosse
numero ventiquattro
quasi nuove:
sulla suola interna si vede ancora la marca di fabbrica
‘Schulze Monaco’.
C’è un paio di scarpette rosse
in cima a un mucchio di scarpette infantili
a Buckenwald
erano di un bambino di tre anni e mezzo
chi sa di che colore erano gli occhi
bruciati nei forni
ma il suo pianto lo possiamo immaginare
si sa come piangono i bambini
anche i suoi piedini li possiamo immaginare
scarpa numero ventiquattro
per l’eternità
perché i piedini dei bambini morti non crescono.
C’è un paio di scarpette rosse
a Buckenwald
quasi nuove
perché i piedini dei bambini morti
non consumano le suole.
 
Joyce Lussu
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