giovedì 28 maggio 2020

Tappa blogtour Crazy for you di Paola Garbarino

Tappa blogtour
Crazy for you di Paola Garbarino
Buongiorno care lettrici, insieme all'autrice Paola Garbarino, e in collaborazione con altri blog, abbiamo deciso di vivisezionare il romanzo ed approfondire minuziosamente alcuni aspetti del romanzo. Noi, "Il Mio Mondo Di Libri",  abbiamo scelto la tappa "OGGETTI ANNI '80 E '90". Spero sia di vostro interesse. 
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WALKMAN: Mollò walkman e cuffie nelle mani dell’impiastro capriccioso, si alzò dal tavolo e si diresse dietro il rifugio, dove c’erano delle panchine per guardare il panorama.
Agii d’impulso e la seguii.
“Posso prestarti il mio?” mentre tendevo il lettore musicassette verso di lei.
Si voltò e finalmente potei guardarla bene in faccia.
Fui grato al mio istinto: era molto carina ma era praticamente una bambina. Stavo facendo il gentile con una che poteva essere mia sorella, mentre la mia l’avevo appena mandata al diavolo.
Mi osservò come se non ci credesse, poi il suo sguardo scese sul lettore “Cosa ascolti?”
Mi sedetti anch’io sulla panchina “IGuns.”
Fece un piccolo sorriso e le si formò una fossetta sulla guancia sinistra “Piacciono anche a me. Adoro Axl.”
“Io adoro Slash, voglio suonare la chitarra come lui. Tu cosa stavi ascoltando prima che te lo fregasse il fratellino?” temendo che mi avrebbe risposto New Kids On The Block, Europe o Duran Duran, gruppi che venivano seguiti più per l’avvenenza dei musicisti che per la musica. Avrei perlomeno apprezzato i Duran, se non altro per la canzone e il video di TheWild Boys.
“True Blue, di Madonna.” disse “È una donna forte e una brava artista. Vorrei essere come lei.”
“Mi piace…” avviai la riproduzione e tolsi le cuffie, il mio walkman aveva la cassa e potevamo ascoltare entrambi “…ma preferisco l’Hard Rock.” aggiunsi.
Partì Paradise City.
Negli anni 80 e all’inizio degli anni 90 il walkman era l’unico modo per ascoltare la musica mentre si era fuori casa, durante una passeggiata o una corsa; leggeva le musicassette e solo le versioni più moderne avevano anche la radio. I tasti REW e FFWD ti permettevano ti riascoltare a ripetizione una canzone oppure solo una parte. Era un po’ complicato da condividere ma forse il bello stava lì, in quanto l’archetto rigido della cuffia ti obbligava a stare molto vicino ad una persona se volevi fargli ascoltare la tua musica del cuore. Kay lo sapeva bene, ed è grazie a questo che in quella fredda giornata ad Ortisei è cominciato tutto.
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LETTERE: “Mi scrivi anche tu?”
“Sono un maschio, non ti posso assicurare che scriverò quanto te.” e sfoderai il mio miglior sorriso.
“Perché, i maschi non sanno scrivere quanto le femmine?” mi prese un po’ in giro, mentre tirava fuori dallo zainetto un quadernino con gli unicorni in copertina.
“Ti scriverò di sicuro.” aggiunsi, piano.
Mia scrisse qualcosa, strappò il foglietto e me lo porse. Il suo cognome, un indirizzo di Genova, un numero di telefono. Lo misi nel portafogli, poi presi il quaderno che aveva ancora in mano e scrissi il mio.
Lo lesse “L’indirizzo di una scuola?” dubbiosa.
“Sono più in collegio che a casa.” ammisi.
Tentennò, forse voleva chiedermi qualcosa riguardo al collegio ma non lo fece, pronunciò invece ad alta voce il mio cognome, sbagliando la pronuncia come tutti gli italiani, ossia leggendolo esattamente com’era scritto.
Aspettare l’arrivo del postino è uno dei migliori ricordi della mia adolescenza, avevo molti “amici di penna”, e ricordo il piacere di scrivere a mano (ammetto che lo faccio ancora) la carta da lettere colorata e profumata, l’attesa trepidante che si creava tra la missiva spedita e quella ricevuta. Mia e Kay non avevano email o Whatsapp, e per loro ogni lettera era una dono prezioso, un modo per dire all’altro “ti sto pensando”; è proprio questo che ha reso fin da subito il loro rapporto puro e speciale.
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MUSICASSETTE: Presi il pacchetto che mi porgeva, lo scartai: era una musicassetta. C’era scritto Mia, ma sotto aveva scritto: Per Kei, con la grafia sbagliata, ossia così come si pronunciava.
Avevo ricevuto molti regali nella mia vita da ragazzo ricco, ma questo lo apprezzai da morire.
“É la mia compilation preferita, italiana. È proprio necessario che ti faccia una cultura, Kay.”
Risollevai lo sguardo dalla musicassetta a lei “Grazie.” dissi piano, e capii cosa avessi voglia di fare in questo momento: baciarla.
Desideravo baciarla. O che mi baciasse.
Ed ero terrorizzato, perché non avevo ancora baciato nessuna ragazza.
E’ così che all’inizio Mia e Kay ascoltano la loro musica preferita, registrando compilations su musicassette da regalarsi a vicenda; in modo da restare sempre vicini pur essendo molto lontani.
La musicassetta poteva contenere poche canzoni, quindi bisognava scegliere molto bene quelle da inciderci sopra; si ascoltava col walkman oppure in uno stereo portatile e quando terminava il lato A ( che di solito conteneva le canzoni più belle ) , bisognava interrompere la magia della musica per girarla e passare al lato B.Fondamentale durante la riproduzione, era impedire che inavvertitamente lo stereo facesse uscire fuori il nastro, quando succedeva si chiedeva aiuto alla mitica penna BIC, che con molta pazienza ci permetteva di rimetterlo al suo posto.
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VIDEOCASSETTE: Scartai il pacchetto: c’era una videocassetta.
Per Mia, c’era scritto, con la grafia che ormai conoscevo bene.
Mi precipitai in sala, dove avevamo il videoregistratore, accesi, inserii la cassetta e attesi.
Quando vidi Kay comparire nella registrazione, provai l’impulso di entrare nello schermo.
Era in una grande stanza da letto col parquet, probabilmente la sua, anche se mi sembrava molto austera per appartenere a un teen-ager, non c’era nemmeno un poster appeso alle pareti, però intravedevo, sul fondo, una grande libreria piena di dischi e musicassette, oltre che libri.
Era sempre bellissimo ma aveva gli occhi cerchiati e pareva più magro, forse a causa dell’immobilità forzata causata dall’ingessatura. Era scalzo, indossava un pantalone blu della tuta e una t-shirt grigia che aderiva ai suoi muscoli, e sembrava un modello anche con quei semplici indumenti addosso.
«Se hai inserito la videocassetta e se non hai spento appena vista la mia faccia, allora forse mi concederai abbastanza tempo per dire quello che avrei dovuto dirti durante quella maledetta telefonata.»
Alla fine degli anni 80 c’è stato l’avvento del videoregistratore, le videocassette ti permettevano di vedere i tuoi film preferiti quando e dove volevi e soprattutto di registrare un programma quando non eri in casa così da non perderlo. Ne ho ancora una collezione che non ho il coraggio di buttare, sono ricordi che fanno storia.
Kay ne manda a Mia una preziosa, decidendo che deve dirle davvero qualcosa d’importante e che niente è meglio del suo viso per farlo.
Cabina telefonica Sip | Vittorio Imperia Pergolati
CABINA TELEFONICA: "Non c’eravamo mai telefonati ma stavolta tirai fuori il quadernino che serbavo come una reliquia, su cui lui, il primo anno, aveva annotato l’indirizzo del collegio. Non avevo idea di quanto potesse costare una telefonata in Austria e non parlavo tedesco, nonostante le settimane bianche che facevo qui fin da bambina. Il mio vocabolario si limitava a semplici parole e alle insegne dei negozi.
 In Alto Adige erano bilingue e parlavano anche Ladino. In certi paesini, molte persone non sapevano nemmeno l’italiano, nonostante, sulla carta, ci si trovasse in Italia.
 Al rifugio c’era un telefono pubblico, mi ci recai con la mia paghetta settimanale e pregai una delle cameriere di aiutarmi con la Lingua. Il cuore saltò un battito quando la sentii cominciare a parlare con chi aveva risposto dall’altra parte.
 Non capii una parola, solo il nome di Alexander Kay Von Gloedenn, e poi il mio.
 Mi si strinse qualcosa dentro quando, anziché passarmi la cornetta, la riagganciò.
 “Mi dispiace, non possono passare telefonate, non sei nella lista delle persone abilitate.”
 “Ma Kay è in collegio?”
“Non mi hanno voluto dare alcuna informazione. Mi spiace veramente. Non hai un numero di casa?”
 Scossi la testa.
 No, io non avevo il suo numero di casa. Non sapevo dove abitasse, non avevo nulla in mano per rintracciarlo. Io, in fondo, della sua famiglia non sapevo niente".
 Le cabine telefoniche, insieme ai telefoni “a scatti”, erano l’unico modo per chiamare qualcuno quando ti trovavi fuori casa prima dell’arrivo dei cellulari. Ogni telefonata era quasi un’impresa perché non riuscivi mai a capire se i gettoni a tua disposizione erano sufficienti o se rischiavi di restarne sprovvisto. Col passare degli anni i gettoni sono diventati introvabili, sostituiti dalle più pratiche schede telefoniche, che avendo un credito residuo ti facevano capire meglio le reali durate delle telefonate. Telefonare dalla cabina ti assicurava la giusta privacy che purtroppo in casa difficilmente trovavi. Mia sceglie infatti un telefono pubblico per chiamare Kay in Austria e sentire, anche se per poco, la sua voce.

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TELEFONO FISSO:  Portai in casa la mia valigia, mi feci una doccia, poi mi chiusi in camera e andai avanti con l’arpa fino a tardi, quando smisi di suonare non perché il vicino fosse venuto a lamentarsi, ma perché mia madre entrò, nonostante il cartello DON’T ENTER appeso alla maniglia e proferì le parole magiche “C’è Kay al telefono.”

I pochi secondi che intercorsero da me con l’arpa tra le braccia, a quando potei stringere nella mano la cornetta del nuovo modello SIP SIRIO, mi sembrarono una tortura degna di entrare a far parte della Convenzione di Ginevra.
Chiusi la porta dello studio quasi sbattendola per la fretta, decretando di fatto che la zona era off-limits, sperando che mio padre non entrasse con una scusa o, peggio, mio fratello iniziasse a cantare: A Mia piaceKay"!
Chi di noi non ha avuto a casa lo storico telefono fisso col disco? Per comporre un numero ci voleva una vita, ma soprattutto se sbagliavi non potevi cancellare ma dovevi ricominciare tutto da capo. Ma il vero guaio di questo tipo di telefono era che, vista la limitata lunghezza del filo, non potevi portarlo da una stanza all’altra o chiuderti in camera per impedire a famiglia o coinquilini di ascoltare le tue telefonate. I nostri protagonisti facevano di tutto per provare a sentirsi all’oscuro delle loro famiglie, a volte purtroppo con pessimi risultati…
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CD: Entrammo, Kay chiuse a chiave la porta e si appoggiò con la schiena al battente, osservandomi mentre io mi guardavo intorno e posavo la borsa.
 Era una bella camera, spaziosa, con vista sulla passeggiata e sulla spiaggia.
 C’erano una valigia aperta sul pavimento, la custodia con la chitarra acustica su una sedia, e uno zainetto posato ai piedi del letto.
 Il lettore musicale era già sul comodino.
 Mi avvicinai al mangiacassette “Cosa stavi ascoltando?”
 “Te.” rispose “Una delle tue compilation. Le adoro. Ormai ho un lettore CD ma preferisco questo perché posso ascoltare le tue cassette.”
 “Ce l’ho anch’io. D’ora in poi ci scambieremo CD, allora.” schiacciai il tasto d’avvio e partì One degli U2".
 Questo libro parla molto di musica, e col passare degli anni i ragazzi passano con grande sorpresa dalle musicassette ai cd; un cambiamento strano per loro come lo fu per tutti noi. Se avevi un cd eri super moderno e all’avanguardia, si potevano ascoltare in casa, in macchina o con gli appositi lettori portatili che andarono in commercio dopo il walkman. La cosa bella erano i cd mp3, (musica digitale) che potevano contenere tantissime canzoni che ti permettevano di creare compilation “da paura”.
“Crazy for you” mi ha fatto tornare con piacere indietro nel tempo, a dimostrazione che anche senza social network e tecnologia ad aiutarti poteva nascere davvero qualcosa di unico da coltivare nel tempo!





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