La notte della rabbia
Roberto Riccardi
Conoscevo già Roberto Riccardi e averlo visto tra i finalisti del Premio Tettuccio 2018 mi ha fatto molto piacere.Lo conoscevo da collega, Ufficiale dei Carabinieri, non da scrittore e anche questo mi ha colpito particolarmente. Non mi ha meravigliato, invece, il suo stile, elegante, sobrio, simpatico che ho ritrovato puntualmente nella sua opera: lo conoscevo.
Sono contento che anche lui abbia accettato questa chiacchierata nel nostro salotto letterario.
Ecco Roberto
Chi è Roberto
Riccardi oltre la sua biografia?
Uno
come tanti, che fin da bambino ha avuto la passione della lettura e della
scrittura. Uno che ha percorso la sua strada, ha scelto di fare l’ufficiale dei
carabinieri, ma che a un certo punto si è ritrovato dentro, intatta, quella
passione di bambino e le ha dato espressione scrivendo delle sue esperienze e delle
cose che conosce.
Come nasce una
trama e questa in particolare?
Una
trama nasce sempre da uno spunto, come fosse un embrione. Poi l’idea prende a
svilupparsi nella mente, fino a diventare progetto, concreta realizzazione. Per
La notte della rabbia sono tornato ai
ricordi dell’infanzia, quando l’Italia attraversava i suoi “anni di piombo” e
io vi assistevo senza capire bene di cosa si trattasse, preso dai miei sogni e
dalle mie spinte a crescere e a comprendere prima di tutto me stesso.
Qualche episodio
della nostra storia contemporanea ha influenzato le tue scelte?
Certamente
il fatto di cronaca che sta dietro la mia narrazione è il sequestro di Aldo
Moro, con la strage di via Fani e ciò che le è seguito. Mio padre era stato
allievo dell’onorevole alla Facoltà di Giurisprudenza di Bari, mia città
d’origine, così nel periodo in cui Moro rimase prigioniero delle Brigate Rosse
in casa mia non si pensava ad altro.
Vuoi parlarci dei
tuoi personaggi che sembrano veri e sono inseriti temporalmente e
geograficamente molto bene nel contesto della storia?
La
trama del romanzo è tutta inventata, nessun personaggio ha un legame particolare
con un soggetto realmente esistito. Eppure non c’è una pagina, mi dicono, che
non riecheggi le vicende dei tempi. Ciascuno dei protagonisti assomiglia alle
persone che in quegli anni si trovarono avviluppate in una storia più grande di
loro. Il realismo è una caratteristica della mia produzione, mi piace ancorarmi
alla verità dei fatti e delle anime.
Anche la foto di
copertina è pertinente. Hai avuto una 500 da ragazzo?
È
proprio così, anche se il grafico della casa editrice che ha realizzato
l’immagine di copertina non poteva saperlo. La mia 500 era perfino dello stesso
colore! In realtà ce l’aveva mia madre, con quella ha accompagnato me e mio
fratello a scuola in tutto il periodo delle medie e del ginnasio.
Cosa pensi sia cambiato
nella società da allora ad oggi?
È
cambiato moltissimo, dai rapporti fra genitori e figli alle gerarchie nel mondo
del lavoro, dagli strumenti tecnologici utilizzati nella vita quotidiana alle
relazioni sociali. Quella che non può cambiare è la natura umana, che ripropone
all’infinito identici dualismi fra bene e male, odio e amore, verità e
menzogna, coraggio e paura.
Il “noir” è il
tuo genere preferito? Se sì, perché?
Lo
è e non lo è. Lo è perché è un terreno che conosco, quello del mio lavoro da
ufficiale dei carabinieri, che è iniziato a Palermo negli anni delle stragi di
mafia ed è proseguito in Calabria alle prese con la ’ndrangheta, nei Balcani
dei conflitti etnici, a Roma con il contrasto al narcotraffico e alla
criminalità organizzata. Non lo è perché amo al tempo stesso il romanzo storico
e quelli che si occupano di sentimenti. Ciò che conta, a mio modesto avviso, è
raccontare la vita così com’è, senza effetti speciali o infingimenti.
Cosa ti senti di
consigliare ai giovani scrittori?
Di
leggere tanto, prima di tutto. La scrittura si nutre di stili, chiavi
narrative, accorgimenti letterari, pagine e pagine vergate prima che noi
nascessimo. In secondo luogo, di metterci tutta la passione del mondo, tutto il
cuore possibile. Ma senza aspettarsi nulla in cambio, perché il successo può
non arrivare mai o rivelarsi un compagno occasionale.
A proposito della
tua partecipazione al Premio Tettuccio, cosa vorresti dire ai Giurati perché
scelgano il tuo libro come vincitore?
Assolutamente
nulla, è giusto che scelgano secondo la propria coscienza e sensibilità.
Conseguire un premio letterario per un autore è una bella soddisfazione, è un
incentivo per continuare a scrivere. Chi dei cinque finalisti lo merita di più?
Tutti e nessuno, ma soprattutto… il migliore.
Vuoi farti una
domanda che a me non viene in mente e che tu ritieni importante?
Una bella domanda è cosa rappresenti
per un autore la sua scrittura. Per me è un dono straordinario, del quale
ringrazio la sorte, i miei genitori che mi hanno avvicinato al mondo dei libri,
l’universo intero. È la possibilità meravigliosa di entrare in contatto con
altri, i lettori, in modo sincero e profondo. È una vita in più, capace di far
viaggiare chi scrive – se il cerchio si chiude anche chi legge – in un altrove affascinante
e misterioso.
Grazie, Roberto, in bocca al lupo!
Valter
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