lunedì 5 marzo 2018

Recensione: La donna dei fiori di carta di Donato Carrisi


SCHEDA TECNICA
 
Titolo: La donna dei fiori di carta
Autore: Donato Carrisi
Editore: Longanesi
Pagine: 170
Pubblicazione: 3 Maggio 2012
Formato: Kindle, cartaceo
 
Valutazione
 
 
 
Prima guerra mondiale sul Monte Fumo, fronte dolomitico lato austriaco.
Il dottor Jacob Roumann, ha preso la consuetudine di scrivere su un libricino nero gli appuntamenti con la morte, segnando l’ora, il grado e l’ultima frase detta dallo sventurato militare prima di spirare. Per ordine del maggiore, deve convincere un soldato italiano a rivelare nome e grado. Il prigioniero parlerà solamente se il dottore ascolterà una storia che corrisponde a tre domande:
«Chi è Guzman? Chi sono io? E chi era l’uomo che fumava sul Titanic?»
Il dottore accetta.
Guzman, gli rivela il prigioniero, era un tabagista che raccontava storie, forse vere forse no. Cresciuto senza il padre, con la madre aveva girato per l’Europa alla sua ricerca. Lavorando per una lavanderia, tra sniffate di biancheria intima femminile e consegne, incontra il padre che facendogli fumare un mozzicone di una sigaretta, nel quale Guzman prima sente il sapore dei bordelli, perché gli dice che era lì che l’aveva raccolto, e poi del pesce, perché in realtà era di un pescatore, gli rivela la ragione della fuga.
«L’amore o qualsiasi altra cosa nella vita va rincorsa. È il cuore che comanda i sensi.»
Facendo così sua madre non l’avrebbe mai dimenticato, e nemmeno lui.
Guzman a venti anni aveva iniziato a sbarcare il lunario mettendo insieme pasti caldi e qualche mancia raccontando storie. Per catturare l’attenzione iniziava sempre con frasi a effetto. Raccontava anche di un certo capitano Rabes che fumava sigari e dal quale aveva avuto l’ultimo da accendere nelle sue ultime ore di vita.
Una sera incontrò Eva Mòlnar un’ereditiera che accompagnò in giro per il mondo e in cambio, una volta deceduta, ne avrebbe raccontata la storia: era una scalatrice ed anche una lesbica. In cima al Monte Bianco Guzman, disperdendone le ceneri, si trovò a salvare la vita a un uomo, Dardamel, un musicista, al quale chiederà poi di scrivere una canzone unica per conquistare il cuore di una donna: una misteriosa spagnola con la quale tutti ci provavano, ma nessuno ci riusciva. Guzman era brutto e aveva poche chance.
Mentre tutt’intorno i soldati continuano a morire, Jacob Roumann pensa alla moglie:
 “Sopravvivere a una guerra non ha per ricompensa essere vivo ma poter tornare a casa”.
Il prigioniero nota il libricino nero del dottore e chiede di poterlo vedere, in una pagina legge in fila le ultime parole dette dai soldati morenti. Lette in quel modo sembrano una poesia.
«C’è una bellezza nascosta in ogni cosa» - affermerà.
Per sedurre la spagnola, continua il racconto, Guzman chiese aiuto anche a Madame Lì, una ermafrodita, che gli consigliò di andare in Cina presso le “montagne che cantano”, un luogo dove gli innamorati chiedevano la mano alle loro amate. Il dottore rammenta come conobbe sua moglie.
A Parigi, prosegue il prigioniero, all’ambasciata di Spagna, Guzman, facendo suonare all’orchestra un brano nuovo e scelto da lui, conquistò Isabel, la bella figlia dell’ambasciatore. Si frequentarono e si amarono fin quando Guzman non se ne andò lasciandola sola allo stesso modo di suo padre. Tuttavia la affidò a Davì, un principe italiano.
Isabel se ne andò in America, e Davì la seguì quattro mesi dopo col Titanic dove, mentre affondava, vide un uomo fumare in tutta tranquillità.
Arrivato il momento della fucilazione, il prigioniero non vuole rivelare comunque il proprio nome e grado ma consegna al dottore una lettera per Isabel, facendogli promettere che la consegnerà. Lui, il militare, è lì per cercare la morte.

Il romanzo, definito dall’autore un noir, l’ho percepito come un dramma sulla separazione senza possibilità di dirsi addio. Scorre come un racconto anemico con alcuni momenti coinvolgenti; il più toccante è quando il prigioniero legge le frasi dei moribondi nel libricino nero del dottore e il più romantico è quando Guzman si trova tra le montagne che cantano.
Sebbene Guzman affermi che vuole fare tutto nella vita “una sola volta”, in realtà ha rituali, come quello del fumo, e azioni, come il tornare sulle montagne, che si ripetono nel corso del romanzo e la storia raccontata dal prigioniero appare come uno stratagemma per tenere insieme il racconto.
In alcuni momenti della lettura, nella mente mi si sono accavallate altre opere come durate la frase detta dal dottore: “Sono sopravvissuto alla guerra per venire qui a consegnarle la lettera”, mi ha rammentato quel film dove un naufrago precipitato con un aereo cargo afferma di essere scampato alla morte perché doveva consegnare un pacco. E quando Guzman chiede a Dardamel “il più bel inizio di poesia che si possa immaginare”, mi ha rammentato la vicenda di Cyrano de Bergerac in cui scrive poesie su commissione.
Nel racconto ci sono alcune informazioni storiche che fanno riflettere, come gli ufficiali italiani che sparavano in testa ai soldati per obbligarli ad andare all’attacco, e piaceri sottili che credo possano assaporare soltanto i tabagisti per i gesti descritti nel “rito” del fumo.
Il titolo che cita una figura marginale alla storia e la copertina, sono stati per me forvianti creandomi un’aspettativa che non è stata soddisfatta nel romanzo.

Recensione di Sonia Belli

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