Titolo: Cuore di rondine
Autore: Comandante Alfa
Editore: Longanesi
Pagine: 284
Data pubblicazione: 16 Aprile 2015
GRADIMENTO
Sarà perché sono figlia
di un parà della Folgore (in fondo, il dna
conterà pur qualcosa, no?), ma
quando mi è stato chiesto che cosa
volessi leggere tra quattro romanzi, non ho avuto dubbi. E non mi
sono sbagliata.
Da sempre, tutto ciò
che ha a che fare con le divise e il mondo militare mi affascina e, non a caso,
adoro i film di guerra. Non per lo spargimento di sangue, ovviamente, di cui
potrei tranquillamente fare a meno, ma per quella fierezza, quei valori insiti
in quegli uomini che mettono a repentaglio la loro vita per salvare quella di
altri essere umani.
“So di essere parte integrante di un
ingranaggio unico e non
smetterò mai di essere un membro del Gruppo intervento
speciale
dei Carabinieri.”
Se c’è una cosa che ho
apprezzato subito di questo libro è l’aver
scelto di riportare un pensiero del
giudice Giovanni Falcone. Credo
che in esso sia racchiusa l’essenza di tutto
ciò che il Comandante
Alfa ci abbia voluto trasmettere in undici capitoli, densi
di
avvenimenti ed emozioni.
“«L’importante
non è stabilire se uno ha paura o meno, è saper
convivere con la propria paura
e non farsi condizionare dalla
stessa.»”
Il libro inizia subito
con un ritmo veloce, scandito. La narrazione in
prima persona, al presente, ci
permette di vivere appieno le scene,
come se fossimo lì con il
protagonista.
La scena iniziale si
apre con un incidente stradale. In quegli attimi terribili, in cui riflette sul fatto che quelli potrebbero essere gli ultimi istanti, il Comandante Alfa vede scorrere davanti a sé, al rallentatore, tutta la sua vita.
E non è, forse proprio
la vita, a essere beffarda? Si sta, forse,
prendendo gioco di lui? Lui che è
sopravvissuto a tutto, al fuoco
dei Kalashnikov, alle rivolte dei detenuti in
carcere, all’altezza del
campanile di Venezia, alle prove di coraggio
affrontate da
bambino, può finire i suoi giorni nelle lamiere contorte di
un’auto?
In un dannatissimo incidente stradale causato da un cane?
Nossignore. Perché la vita, quella
stessa vita che ora gli sta
sfuggendo di mano, gli impone di resistere. Anche
in quei terribili
istanti, che potrebbero essere gli ultimi, il senso del
dovere si
impone come un ordine.
Deve
resistere. E aspettare. E proprio l’attesa
ha caratterizzato gran
parte della sua vita professionale. Ha atteso per ore i
criminali
sull’Aspromonte e nella Barbagia, ha atteso capi di governo, re e
principesse. Anche adesso, inerme e impotente, non può far altro.
Deve
aspettare.
Attende i soccorsi,
contando tutti i respiri, uno dopo l’altro, in
attesa dell’ultimo, mentre il
dolore gli impedisce ogni movimento
togliendogli il fiato. E sdraiato
sull’asfalto, con gli occhi rivolti al
cielo, si rivede bambino, quando lo
stesso cielo, quello che ha il
colore azzurro della Sicilia, segna il suo
destino, in una primavera
lontana, di tanti anni prima, quando la luce negli
occhi di suo
nonno gli parla dritta al cuore e fa nascere in lui una profonda
consapevolezza: se c’è una cosa che non gli manca, quella è il
coraggio, ed è ciò che, prima o poi,
avrebbe dimostrato a tutti.
Ed è in quel salto da un ponte di venti metri
compiuto da bambino, proprio come prova di coraggio, che ha capito che il suo
ruolo nella vita sarebbe stato quello del leader.
Aveva solo diciassette
anni quando prese la decisione di entrare a
far parte dell’Arma dei Carabinieri
e nel 1969 venne arruolato.
Il racconto dei primi incarichi
a Rocca Priora mi hanno strappato
più di un sorriso, smorzando la tensione
emotiva iniziale. Stessa
cosa è accaduta più avanti, leggendo quanto avvenuto
quando un
gruppo armato ha invaso piazza San Marco e issato sul campanile
più
famoso al mondo la bandiera con il leone alato simbolo della
Repubblica di
Venezia (anche qui i dialoghi riportati nei dialetti
originali, che hanno
conferito una certa tragicomicità alla scena,
mi hanno fatto sorridere, anzi,
ridere di gusto).
I ricordi si
accavallano davanti ai suoi occhi come spezzoni di un
film, e la sua mente
corre come un treno sui binari della vita
viaggiando a ritroso, facendolo scendere
in stazioni che credeva di
aver dimenticato, ma che ora sono lì, pronti ad
accoglierlo. Ed è
così che i ricordi della mamma si intrecciano con quelli, commossi, del Presidente Cossiga.
I ricordi del bambino
si mescolano a quelli dell’adulto che
diventerà, del soldato che combatterà a
Nassiriya, in Iraq, e che
proprio nell’attentato di Nassiriya perderà uno dei
suoi amici più
cari, nonché uno dei soci fondatori del GIS, proprio come lui.
Il
Cigno, così è soprannominato il Comandante alfa, ricorda tutto di
quegli
istanti: la vista che si appannava, le lacrime che scendevano
e quello strappo
di carne viva che bruciava. Una ferita che non si
sarebbe mai rimarginata.
Torna con la sua mente
a ogni gesto del passato, e sente il dolore
farsi pesante come un macigno.
Sente la rabbia che aumenta,
violenta e cruda, e cerca di incanalarla in un
angolo remoto della
sua mente, lasciandola scorrere perché non esploda.
“Gli
anni di servizio nell’Arma mi avevano già insegnato a intuire
in anticipo quando
ciò che un comandante ha da comunicare va
oltre le solite raccomandazioni e gli
ordini di routine, e l’atmosfera
che si respirava nella stanza non dava adito
ad alcun dubbio:
stava per accadere qualcosa d’importante.”
Una mattina come tante,
di un giorno qualunque. Un giorno che
avrebbe cambiato per sempre le loro vite.
Un giorno in cui per la
prima volta ascoltò parole che erano diverse da tutte
quelle
ascoltate sino ad allora.
“Di
quel giorno ho immortalato in me il silenzio profondo. Un
silenzio rispettoso,
come se tutto il mondo avesse trattenuto il
fiato e stesse ora ad ascoltare.”
La sua vita stava per
cambiare. Sapeva che stava per entrare in
qualcosa di molto più grande di
qualsiasi altra situazione avesse
potuto immaginare, e capì che era esattamente
per quelle parole
che aveva lottato e camminato fino a quel giorno.
“Avevamo
la profonda certezza di non essere soli. E ancora oggi
vivo sulla pelle, come
allora, come sempre, l’immutabile
sensazione di essere parte di un insieme. Ci
sentivamo davvero
un’unità indissolubile e la consapevolezza di avere accanto
il
proprio compagno ci rendeva invincibili, invulnerabili.”
Fierezza, fedeltà,
lealtà, caparbietà, determinazione. Queste erano
le qualità di cui quel giovane
corpo d’elite nascente aveva bisogno.
E lui, quelle qualità, le possedeva
tutte.
“Non
sarebbe stata una passeggiata. Ci attendevano anni di
durissimo e costante
addestramento perché a ciascuno di noi era
richiesta una sola cosa: diventare
il migliore tiratore scelto, il
miglior scalatore, il miglior incursore, il
miglior subacqueo, il
migliore esperto di armi ed esplosivi.”
GIS: Gruppo Intervento
Speciale dei Carabinieri. O più
semplicemente “teste di cuoio”. I prescelti.
Giovani uomini cui il
coraggio non mancava di certo, o forse sarebbe meglio
definirla
una lucida follia, unita a una buona dose di irruenza e incoscienza.
Tra
loro aleggiava una complicità sottile, quasi una lucida follia che ci
autorizzava a puntare, uniti, verso qualsiasi obiettivo.
“Cinque
scapestrati e bellicosi paracadutisti stretti da un legame
forgiato dal
destino, consolidato dall’amicizia e reso forte e
inscindibile di fronte a
qualunque ostacolo dal profondo senso di
appartenenza.”
Il Comandante Alfa racconta delle sue missioni, delle liberazioni sull'Aspromonte trasmettendoci le stesse emozioni che ha provato lui, quelle che
trattieni fino allo spasimo, e che senti sotto la pelle come un formicolio
leggero.
“Ore
di tensione, ore di preparazione e attesa che si riducono a
brevissimi attimi
di azione. Silenziosi come la notte, veloci come la
folgore.”
E poi si
ricomincia daccapo. Perché la vita per uno del GIS è una
specie di limbo.
Ci racconta, delle
importanti operazioni antidroga cui ha preso
parte, delle stragi durante gli Anni
di Piombo, anni in cui la
tensione politica era alle stelle e gli avvenimenti
nazionali si
intrecciavano con le inquietudini internazionali, riportando gli
avvenimenti più importanti e cruenti degli anni settanta.
1980 Trani, 1984 Sardegna, 1995 Verona, 2002 Afghanistan: le date e le immagini delle tante
missioni svolte come membro del GIS si sovrappongono, una dopo l’altra, ad un
ritmo impressionante, a quelle di vita
vissuta in un Iraq che per la prima volta sarebbe andato alle urne. Un Iraq in
cui la condizione delle donne e dei bambini è drammatica, e in cui non si può
immaginare niente di più disumano per la dignità di una persona. Qui, il
Comandante Alfa ha il compito di addestrare la polizia irachena e, anche nello
svolgere questo compito così delicato, si dimostra per quello che è: un soldato
che, sopra a tutto, preferisce dialogare.
“Ma
allora è vero che le parole possono fare più di mille colpi di
fucile? Allora è
vero che il dialogo e la comunicazione possono
abbattere i muri più del fragore
di una bomba? Non sta a me dirlo.
Non sono io a decidere cosa sia giusto o cosa
non lo sia, ma
personalmente ho la certezza che le parole, quando escono dal
cuore, portano con sé molto più di una semplice sequenza di vocali
e consonanti.”
Un uomo che, ancora una
volta, ribadisce l’importanza del credere
profondamente nel significato del
proprio incarico, del servizio
offerto alla propria nazione, senza aspettarsi
nessuna ricompensa
se non la soddisfazione di aver fatto il proprio dovere ogni
giorno.
“Ogni
giorno di più mi rendo conto che svolgere con passione il
proprio mestiere
mette già di per sé in una posizione privilegiata
rispetto a chi lavora
metodicamente e svogliatamente solo per lo
stipendio di fine mese.”
Parole, le sue, che
troppo spesso sembrano solo di circostanza,
pronunciate nelle occasioni
ufficiali per fare bella figura. Eppure
sono vere, ed è proprio lui a dircelo,
dicendoci anche che sono in
tanti a vivere così.
Il comandante guarda i
“suoi” uomini, quegli uomini che gli sono
stati affidati, e li osserva. Uomini
distanti per storia, cultura e
tradizioni ma che, nonostante tutto, sente
vicinissimi, e riuscire a
parlare lo stesso linguaggio, a condividere il senso
dell’onore, lo
gratifica più di ogni altra cosa. Ha sempre considerato
l’insegnamento una missione (e, come ex-insegnante, non posso
che condividere
in toto il suo pensiero). È contento di addestrarli.
È fiero di loro. Proprio
come un maestro lo sarebbe dei suoi alunni,
che cresce come figli. Lui e i suoi
uomini sono un tutt’uno e, non a
caso, “squadra” è la parola che ricorre di più
nel testo.
Il comandante del GIS
descrive nei minimi particolari il duro
allenamento fisico cui si viene
sottoposti, che serve a irrobustire il
corpo e la mente. E ci spiega anche
quale sia la cosa più difficile di
questo lavoro: la gestione della rabbia.
“…l’addestramento
e la carica emotiva sono armi vitali per l’esito
positivo di una missione. Sono
fattori essenziali che permettono di
agire e muoversi con una tale facilità che
poi, a mente fredda, si
fatica anche solo a raccontare.”
Ma, proprio come tutti,
anche i membri del GIS sono uomini.
Uomini che, nonostante il coraggio, sanno
cosa sia la paura.
Perché, in fondo, la paura fa parte dell’uomo. C’è. È lì,
sempre
presente, da sempre, anche se giorno dopo giorno impari a tenerla
sotto
controllo. Perché, anche in certe situazioni, non ci si abitua
mai all’idea di
morire, e ci sono volte, la maggior parte, in cui la
morte non è più lontana,
ma si nasconde a ogni angolo.
“Con
noi viene anche la paura. C’è. Esiste. La si sente nell’aria,
quasi fosse un
odore. Un odore impalpabile, una nebbia che
scende fredda e improvvisa nella
notte e ti si appiccica addosso
senza lasciarti scampo. La sensazione più
arcaica tra quelle
provate dall’uomo. La paura dell’ignoto, del nemico, del
pericolo,
della morte.”
E i lunghi pensieri, insieme
alle riflessioni sulla vita e sulla morte,
su quanto tutto sia estremamente
labile, riempiono le pagine.
“Tutti
noi sappiamo che la mèta ultima della vita è la morte ma
non sappiamo né quando
e né dove ci coglierà e in ciò risiede il
fascino della vita. Quando però ci
rendiamo conto che ci ha
appena sfiorato, passandoci a pochi centimetri,
leggera come un
velo, quando percepiamo il suo alito sul collo, allora la
nostra
prospettiva cambia e la vita stessa riacquista valore laddove lo
stava
perdendo e colore laddove stava sbiadendo.”
Ed è con questi
pensieri che ripercorre i giorni vissuti in missione
di pace, che a chiamarla
così viene quasi da ridere, o da piangere,
se proprio in quelle missioni di pace
sei costretto a vedere scene
che avrai davanti agli occhi per sempre, ogni minuto
della tua vita.
Perché ti trovi in missione di pace, ma sei in mezzo a una
guerra
che, in quanto tale, non ha pietà per nessuno. perché ti trovi in
situazioni in cui solo il forte istinto di sopravvivenza ti porta a fare
le
mosse giuste al momento giusto, e lì capisci che i destini degli
uomini,
spesso, sono legati a decisioni prese in pochi secondi.
Davanti agli occhi,
impressi in maniera indelebile, uomini, donne. Vittime dell’odio e della
follia. E poi i bambini… I loro volti sono i volti della paura. Gli occhi
spalancati dal terrore, mentre si gonfiano di lacrime. Bambini che trattengono
il pianto, perché non sono liberi neanche di disperarsi. E in quel momento capisci
che
non c’è un solo istante da perdere, perché ci sono creature
innocenti che
aspettano di essere protette e salvate. Piccoli che si affidano a braccia
estranee per sfuggire all’orrore e alla devastazione della guerra. Bimbi che
per tutta la vita avranno davanti agli occhi immagini di morte e nelle orecchie
il rumore delle bombe.
Bimbi che non parlano più, perché nessuna parola
potrebbe descrivere l’orrore di quelle notti in cui sei costretto a crescere
troppo in fretta, notti in cui il tuo destino viene segnato per sempre. Non li dimenticherai mai. Perché gli occhi di quei bambini ti arrivano dritti al
cuore, come lame affilate, in quelle “notti
che sembrano essere lì ad aspettarti per risucchiarti dentro le proprie
tenebre.”
E proprio in Iraq, in
quella terra lontana, ostile e straniera, dove
ogni minuto è maledettamente
uguale al precedente e si fa fatica a
distinguere un giorno da un altro, la sua
mente va ai suoi figli, alla
sua famiglia, che porta ogni istante nel cuore, e
a quel senso di
nostalgia che porta dentro di sé, insieme al tormento per la
consapevolezza di essersi perso tante, troppe cose. E il distacco
dalle persone
che si amano di più al mondo è una di quelle cose a
cui un militare non si
potrà mai abituare. Perché un membro del
GIS lo si è sempre, ventiquattro ore
su ventiquattro.
Emozionante e
struggente è la lettera ricevuta dalla moglie, che leggerà la notte di
Capodanno del 2005, a migliaia di chilometri da casa.
“…
amarsi è decidere ogni giorno del proprio destino restando al
fianco della
persona che abbiamo scelto, perché amarsi è
camminare sullo stesso percorso per
quanto impervio e difficile
sia, perché amare è accettare ogni giorno l’altro
esattamente per
ciò che è. Come potrei amare te se non amassi e comprendessi
anche la passione che ti lega al tuo lavoro e al tuo reparto? E
come potresti
amarmi se non accettassi tutte le mie passioni, le mie
manie, la mia durezza e
la mia curiosità?”
Parole semplici,
schiette, che colpiscono dritte al cuore.
Questo libro è una
testimonianza importante di una realtà che la
maggior parte di noi ignora. Un piccolo capolavoro in cui le
immagini si
susseguono e si rincorrono a un ritmo impressionante,
vivide e nitide, spinte
dall’adrenalina.
Leggere questo libro è
stato come avere di fronte a me il
Comandante Alfa in persona. L’uomo, oltre al
professionista.
Il racconto, così come
è stato fatto, ha avuto il potere di farmi
vivere sulla pelle le scene vissute
da lui e sentire i brividi
scorrere lungo la schiena. Perché quello che senti
attraverso le sue
parole è, prima di tutto, l’emozione
di un padre, che ci parla delle
limitazioni rigorose cui devono sottostare le
famiglie dei membri
del GIS, che diventano ancora più difficili da gestire
quando si
hanno dei figli piccoli.
Le ultime immagini sono
quelle del Comandante Alfa con al collo,
appeso a un piccolo laccio in caucciù,
una rondine: creatura libera,
coraggiosa, pura, ma anche vulnerabile, fragile,
delicata. E sono
sicura che per il lettore sarà curioso scoprire ciò che
simboleggia
quel piccolo ciondolo per il Comandante Alfa. Ma questo lo si
scoprirà solo alla fine del libro, quando il cerchio si chiuderà,
quando tutto
sembrerà rientrare in un disegno più grande e tornerà
ad avere un significato,
un senso compiuto.
Perché “il cerchio si
chiude quando si restituisce quanto si è ricevuto.”
Sono certa che le
ultime pagine vi regaleranno una vibrante
sensazione di commozione, di attesa,
di fiducia. Gli ultimi pensieri
del protagonista, che osserva per l’ultima
volta quel cielo iracheno
che gli resterà nel cuore, avranno il potere di
strapparvi una
lacrima (o forse più di una, chissà), proprio come è successo a
me.
“Ormai
ho capito che incontriamo le persone quando siamo pronti a riceverne lo sguardo
e a condividerne il pensiero, anche se poi, per alcune di loro, maledirai il
giorno in cui ti sei fidato, mentre altre diventeranno parte della tua vita e
segneranno per sempre la tua strada. Probabilmente alcune ti insegneranno solo
che non sono adatte a te, ma altre ti apriranno il cuore e tu le lascerai
entrare sapendo che non andranno mai più via.”
RECENSIONE SCRITTA DA
GLORIA PIGINO