Titolo: La ragazza del giardino di fronte
Autore: Parnaz Foroutan
Editore: Newton Compton Editori
Pagine: 189
Data Pubblicazione: 18 Febbraio 2016
Prezzo: 4.99 Kindle; 10.20 cartaceo
Asher Malacouti è il capo di una famiglia ebrea che vive nella città iraniana di Kermanshah. Nonostante il successo e la ricchezza, Asher non può avere ciò che più desidera al mondo: un figlio maschio. La giovane moglie, Rakhel, costretta in un matrimonio opprimente, in un periodo storico in cui il valore di una donna dipende dalla sua fertilità, è disperata a causa della propria sterilità e, con il tempo, diventa gelosa e vendicativa. La sua afflizione è esasperata dalla gravidanza della cognata e dalla passione che il marito prova per Kokab, la moglie di suo cugino. Frustrato perché la moglie non riesce a dargli un erede, Asher prenderà una decisione fatale, che ridurrà a pezzi la sua famiglia e porterà Rakhel a compiere un gesto estremo, per salvare se stessa e la sua posizione all’interno della famiglia. Una storia tragica, una magnifica rappresentazione del tradimento e del sacrificio. E di un Iran che forse non esiste più.
Terminata da poco la
lettura di questo splendido romanzo, mi
accingo a scriverne la recensione, con
non poche difficoltà.
Posso dire senza remore
di aver avuto tra le mani un piccolo
capolavoro scritto magistralmente e
strutturato in maniera insolita
e particolare, con molti termini riportati in
lingua originale, cosa
che ho apprezzato molto. Un libro non facile da leggere
e, posso
immaginare, ancora meno da scrivere.
A differenza dei
tantissimi romanzi letti finora, in cui i flashback
venivano in qualche modo “
segnalati” o ai quali il lettore era
comunque preparato, in questo romanzo non
vi è nulla di tutto ciò.
Presente e passato, infatti, si intrecciano in un
continuo rimando,
riga dopo riga, e il lettore viene trascinato a fondo nelle
vicende
come se seguisse l’ondeggiare del mare, a bordo di una zattera.
Viene
trascinato giù, sprofondando tra i flutti, per poi riemergere, e
dopo una
boccata di ossigeno ecco di nuovo che viene rapito dalla
forza delle onde, cui
non si può opporre in alcun modo.
La narrazione avviene
su due livelli spazio-temporali: in terza
persona al presente per quanto
riguarda le vicende contemporanee
ambientate a Los Angeles; in terza persona al
passato per le
vicende ambientate tanti anni prima in Iran.
Il romanzo si apre con
quella che sarà la figura principale attorno
alla quale ruoterà tutta la
storia: Mahboubeh, che nasce in Iran, ma
che decide di fuggire dal suo Paese da
giovane, dopo la
rivoluzione, per trasferirsi a Los Angeles, dove tuttora vive.
Ed è proprio qui che la donna, ormai anziana, ripercorre, attraverso
i pensieri
che scorrono liberi, come un fiume in piena che travolge
tutto ciò che
incontra, le vicende che hanno riguardato la sua
famiglia, da prima della sua
nascita.
“I
minuti passano così lenti che il tempo sembra distendersi
davanti a lei,
presente e passato un tutt’uno. In questa tenebra
aggrovigliata, Mahboubeh
permette finalmente ai fantasmi di
andare e venire a piacimento, chiassosi con
l’urgenza delle loro
storie, implorandola di dare loro voce, di spiegare, a
lei, al
pubblico dell’eterno silenzio, ciò che accadde un tempo.”
Mahboubeh è nata da una
famiglia ebrea. Figlia di Ibrahim e
Khorsheed, è cresciuta senza la mamma,
perché questo è, prima di
tutto, il romanzo, come la stessa autrice sottolinea
più volte e
ribadisce nelle ultime righe, che parla di “una donna morta di
dolore, per le complicazioni dell’essere donna”. Il romanzo è,
inoltre, la
storia di un’intera famiglia, che si intreccia con la storia
di un intero
Paese. La storia di due fratelli, Ibrahim e Asher, figli
di Zolekhah, che
avrebbero sacrificato qualunque cosa l’uno per
l’altro.
E così hanno fatto.
Figura fondamentale per
il dipanarsi della storia è quella di Rakhel
(Dada), moglie di Asher,
ossessionata dall’idea di diventare madre.
Perché all’epoca dei fatti, il
valore di una donna era misurato in
base alla sua fertilità. Ed è proprio
attorno a ciò che graviterà la
storia di tutti i personaggi coinvolti. Un
profondo spunto di
riflessione sulla condizione delle donne in certi Paesi.
Di questo romanzo ho
apprezzato la narrazione che, attraverso il
susseguirsi di immagini vivide, in
cui la cura dei dettagli e le
descrizioni minuziose sono riportate in maniera
quasi maniacale,
con un forte impatto visivo ed emotivo, permettono al lettore
di
immergersi completamente nelle scene narrate, sino a diventarne
parte.
Un romanzo in cui i
precetti filosofici e religiosi si intrecciano, e in
cui religione e
superstizione si fondono in una pacifica convivenza.
Un contrapporsi di credo
religiosi, di ebrei e musulmani, che porta
solo sofferenza.
“Ebreo.
Ebreo. Lo bisbigliano alle mie spalle, come se la parola
stessa fosse sporcizia
nelle loro bocche. Hai idea di che effetto ha
tutto questo su un uomo?”
Un’opera preziosa,
utile per conoscere usanze e tradizioni di un
Paese che poco conosciamo, in cui
le giornate sono scandite dai
rituali religiosi e dalle occupazioni quotidiane,
che vedono le
donne dedite alle attività domestiche, al completo servizio degli
uomini. Pagine intense e di elevata carica emotiva in cui, attraverso
la
protagonista principale, assistiamo a un primo cambiamento, un
moto di
ribellione da quella parte di popolazione femminile che
non accetta più di
vivere nella condizione in cui è stata relegata per
troppo tempo.
Un romanzo impegnativo
e complesso, a tratti forte e molto duro,
ma che consiglio vivamente!
Recensione scritta da Gloria Pigino